L’Apocalisse è un lieto fine

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TITOLO COMPLETO: L’Apocalisse è un lieto fine. Storie della mia vita e del nostro futuro.

“Ho bisogno della bellezza, così come amo ogni anelito dell’uomo per compararsi a essa. Rinuncerei a qualsiasi merito artistico pur di riuscire a fare della mia vita un’opera d’arte.” È il principio che guida Ermanno Olmi in questa esplorazione di una vita, delle sue poche certezze e dei suoi molti incontri. Cresciuto nel pieno della disfatta fascista e testimone critico della rinascita nazionale, Olmi è stato giovanissimo fornaio, impiegato ragazzino, regista precoce. Ha vissuto direttamente l’abbandono delle campagne e l’esplosione della società dei consumi e per questo, divenuto protagonista della stagione d’oro del cinema italiano, ha scelto di rappresentare non i lustrini del Boom, ma la cecità di uno sviluppo che ha strappato il nostro Paese alle sue radici contadine. Proprio questa ferita è il cuore filosofico della sua illuminante autobiografia.

L’Apocalisse è un lieto fine non è infatti solo il racconto di una vita densa e affascinante, degli incontri e dei successi che l’hanno segnata. È soprattutto la profonda, urgente riflessione con cui l’artista che ha saputo cogliere gli ultimi echi della civiltà rurale ci mette in guardia davanti al declino di un’altra epoca umana: la nostra. Abbiamo dimenticato cosa vuol dire “far bene” e coltivato a dismisura l’etica del male minore. Produttività, arricchimento e potere continueranno a rinchiuderci nelle loro gabbie fino a quando non saremo pronti a imparare l’eterna lezione della terra: il ciclo delle sue stagioni, del suo naturale farsi e disfarsi. Soltanto allora il senso della fine non sarà più un oscuro presagio, ma l’alba di un mondo che verrà. Una nuova terra madre tutta da imparare, davanti alla quale ritrovare il nostro incanto.

(Dal primo risvolto di copertina)

Non si può definire una vera e propria autobiografia. Si tratta, piuttosto, di piccoli quadretti, a mo’ di “idilli leopardiani”, in sé conclusi e indipendenti. Per questo i capitoli sono così tanti: ben 92! E in quei ricordi c’è posto per tutto: dalla figura del padre, l’affermazione del Fascismo (cap. 5:« In quell’euforia nazionalistica, anche l’Italia reclamava il suo diritto ad avere “un posto al sole”»; «Lo stesso anno, il 1936, fu proclamato l’Impero con il nome di Africa Orientale Italiana. E insieme alle banane e alle “faccette nere” si esaltava l’epica militaresca. In Italia, come in altri Paesi, cresceva gradualmente un’euforia bellica che lasciava presagire inequivocabili segnali di un possibile conflitto»), il percorso di studi (cap. 18: «Il nostro Professore di Lettere (…) per distrarci dalle bombe ci leggeva il De bello Gallico»), riflessioni sulla precarietà della vita.

La spiegazione del titolo nelle pagine finali.

Non sarà un bel romanzo, ma è sicuramente una bella testimonianza di vita.

latineloqui69