Gli inganni di Pandora

L’origine delle discriminazioni di genere nella Grecia antica?

pandora

Cominciamo col dire che la risposta è sì. Sì, perché la donna nella Grecia antica era realmente deprezzata, sottomessa, ancillare. Ma dobbiamo sempre contestualizzare ogni fenomeno storico: in quel contesto storico- culturale era “normale” così. Per questo la mitologia greca ci presenta la figura di Pandora, donna che già nel nome parlante rappresenta le sue specificità (la “tutti i doni”), la prima donna: mandata da Zeus agli uomini sulla terra  – dove sino a quel momento essi vivevano felici – per punirli di una gravissima colpa commessa da Prometeo. Una sorta di “Eva greca”, si è detto. Il paragone potrebbe funzionare, ma fino ad un certo punto. E l’autrice del libro ce lo spiega benissimo in questo suo saggio molto chiaro e divulgativo. Intanto cominciamo col dire che “il corpo di Pandora non era fatto di materia umana. Pandora era un “prodotto artigianale”, fatto di acqua e terra. (…). Ciascuno degli dèi le aveva fatto un dono. (…) Risultato: Pandora era un “male così bello”, come la definisce Esiodo, da renderla, inevitabilmente, un dolos amechanos, “un inganno al quale non si sfugge”. (…) Gli uomini avevano cominciato a conoscere l’infelicità quando pandora era arrivata sulla terra”. Chiaro, no? Era una punizione, creata ad hoc per punire. La colpa era stata  gravissima: Pro-meteo, fratello di Epi-meteo, aveva peccato di hybris nei confronti di Zeus, quindi doveva pagarla cara! E così Pan-dora “avvince” Epi-meteo e una volta a casa sua – “curiosa come una donna”, si direbbe secondo un altro ben noto stereotipo – porta sulla terra tutti i mali, facendoli uscire dal suo famoso vaso (sul fondo del quale, è ben noto, rimane solo Elpìs, la speranza (da cui il nostro proverbio “La speranza è l’ultima a morire”).

Va bene, ma qui siamo nel mito – si dirà. Nella realtà di tutti i giorni non funzionava così, no? E invece no, perché il mito è un prodotto di una cultura, una società, una gente. E rispecchia SEMPRE il suo modo di vivere, di agire, di essere. Per questo l’autrice, esperta conoscitrice della storia greca e romana e del diritto greco e romano (che ha insegnato per anni all’Università di Milano) ci conduce per mano dal pensiero mitico a quello logico, parlandoci della visione della donna di eminenti medici e filosofi. E ne leggiamo delle belle, ve lo assicuro! Si parla di Senofonte, di Socrate e del “presunto femminista” Platone! Leggete con attenzione anche le pagine che parlano del concepimento o quelle sulle mestruazioni! Tutto mira a confermare la natura della donna, “naturaliter inferiore” all’uomo.

Poi l’autrice devia nel mondo della vita pratica, ricordandoci le “pesantissime discriminazioni di cui le donne ateniesi erano vittime nella vita familiare, sentimentale e sessuale”, raccontandoci e spiegandoci la “strana” monogramia dell’uomo ateniese, legittimato ad avere TRE donne (la damar, la pallakè, l’hetàira) e un eròmenos, distinguendolo dall’idea moderna di harem e parlandoci anche dell’adulterio. Vi assicuro che ne scopriamo delle belle! Innanzitutto, chi commetteva adulterio (moicheia) era solo la donna, non l’uomo. Lui, anzi, se avesse sorpreso nella propria casa un uomo (moichòs) ad avere un rapporto sessuale con sua moglie, sua sorella, sua madre, sua figlia o la sua concubina libera (in altre parole tutte le donne del suo gruppo familiare),  aveva il diritto – una sorta di diritto/dovere, in realtà, perché se non lo avesse fatto avrebbe subito la grave atimìa… – di ucciderlo. Si trattava dunque di un “omicidio legittimo”, una delle pochissime eccezioni alle leggi di Draconte, che segnarono il passaggio dal mondo della vendetta a quello del diritto. Si tratta (mutatis mutandis) dell’antenato del nostro “omicidio per causa d’onore”, che in Italia è stato abolito solamente negli anni Ottanta del Novecento.  E non abbiamo parlato dell’adultera! Non penserete mica che la passasse franca, vero? Pur non essendo uccisa, la sua vita diventava invivibile. A voi scoprire il motivo nelle bellissime pagine di Cantarella, che sanno di mito ma non solo. Sanno di Grecità, ma non unicamente. In alcuni passi si parla di concetti, usanze, comportamenti che sanno – purtroppo, aggiungo io  – di moderno! Andatevi a leggere, ad esempio, le pagine che parlano della violenza sessuale! Oppure quelle che parlano dell’esclusione delle donne da ogni forma di educazione  e cultura: a loro essa non era dovuta e non era appropriata! Le donne ateniesi non erano, come si usa dire, “chiuse” nel  gynaikèion (meglio: gynaikonìtis), ma erano “metaforicamente (oltre che socialmente e giuridicamente) relegate in un mondo separato rispetto a quello maschile, che era loro precluso”. Il che, a mio avviso, era cosa anche peggiore!

Per questo le poetesse e le studiose, greche ma anche romane (anche se la condizione della donna romana aveva delle specificità diverse) facevano scandalo e scalpore! Per questo i libri di letteratura e di scienze presentano tra gli autori praticamente SOLO nomi maschili! Per questo, di lì a non moltissimo, le donne più acculturate cominciarono ad essere definite “streghe” e ad essere mandate al rogo. Ma qui andiamo su un altro campo, ben analizzato dalla compianta Michela Murgia (ascoltatevi il suo provocatorio podcast “Morgana” e mi saprete dire…).

Professoressa Eva Cantarella: un nome, una garanzia.

Avete capito perché da decenni adotto (o sono contenta quando trovo adottati da altri) i suoi manuali di storia o letteratura al liceo? 😉