Doppio sogno

“Non si può ipotecare il futuro”

doppio sogno

“Doppio sogno” (titolo originale tedesco “Traumnovelle”) è un romanzo breve, o novella, di Arthur Schnitzler scritto nel 1925; la prima edizione ufficiale tedesca è del 1926. La traduzione letterale del titolo dal tedesco è “Novella del sogno”. L’autore inizialmente voleva chiamarlo “Doppelnovelle” (Doppia novella), titolo che rimase fino al 1924.

TRAMA: Il medico Fridolin ha sposato la giovane Albertine ed hanno una figlia. Una sera, dopo un ballo in maschera nel corso del quale a entrambi sono state rivolte offerte amorose, tornano a casa carichi di un’insolita eccitazione e trascorrono una notte di insolita passione. Il giorno dopo tra loro qualcosa è cambiato, e la sera, dopo aver messo a letto la figlioletta, iniziano ad analizzare i sentimenti e i desideri della notte precedente. In conseguenza delle audaci confessioni della giovane moglie sui suoi sogni e desideri prima del matrimonio e nel corso del fidanzamento, Fridolin comincia a provare verso di lei dei sentimenti ambivalenti, soprattutto dopo che Albertine gli racconta di un giovane, conosciuto durante una vacanza in Danimarca, a cui, se glielo avesse chiesto, si sarebbe certamente concessa.

La sincerità apparentemente ingenua di Albertine spinge Fridolin, forse un po’ per ripicca, a una confessione simile. Le racconta di una ragazza giovanissima, forse quindicenne, con cui aveva avuto un eccitante scambio di occhiate, e che aveva suscitato in lui una forte eccitazione, sempre durante la vacanza danese.

I due decidono di raccontarsi sempre in futuro gli accadimenti di quel genere (che il lettore non saprà mai se siano reali o inventati).

Ad un certo punto, il romanzo si trasforma in una sorta di thriller, dalla conclusione inattesa.

L’opera si inserisce nell’estetica del Decadentismo viennese di inizio secolo XX; racconta la crisi che colpisce una giovane coppia borghese nella Vienna degli anni Venti.  La crisi della coppia borghese, con l’incomunicabilità del matrimonio che turba l’equilibrio uomo/donna, per Schnitzler è emblematica della crisi dell’individuo di fronte alla realtà dell’esistenza.

“Un classico novecentesco fra i più importanti e coinvolgenti, certo uno degli esiti più alti e maturi della grande civiltà letteraria mitteleuropea”: questa la definizione che ho trovato in seconda di copertina.

A me non è piaciuto granché, ma non potevo non sapere nulla di questo autore, cui riconosco la bravura nel raccontare “il rimosso” e nel descrivere gli abissi della coscienza.

Chiaro il “legame” con le teorie freudiane o (meglio) con l’humus in cui più o meno negli stessi anni nacquero e si diffusero gli studi di Sigmund Freud.

La conoscenza reciproca con Sigmund Freud e il fatto che Schnitzler conoscesse “L’interpretazione dei sogni” non autorizzano infatti ad ipotizzare una qualsiasi dipendenza del racconto dagli scritti del padre della psicoanalisi. Anzi, il primo a mettersi in contatto con il concittadino fu proprio Freud, nel 1922:

«Il Suo determinismo come il Suo scetticismo – che la gente chiama pessimismo – la Sua penetrazione delle verità dell’inconscio, della natura istintiva dell’uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l’adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di incredibilmente familiare.» (Sigmund Freud, lettera del 14 marzo 1922).

Non male come riconoscimento, no?

Per gli amanti del genere.

(dati essenziali della trama tratti dalla relativa pagina di wikipedia)