Sand and roots (Il motivo delle isole)

sand and roots“Ed è così che perdo alla mia prima Fiera della Freccia: sottovalutando una donna”.

“Sand and Roots” è il secondo volume della saga di low fantasy “Il motivo delle isole”. Autori: Vera Lazzaro ed Emanuele Polzella. Si tratta di un romanzo breve (o racconto lungo, se preferite): cinque capitoli, cronologicamente distinti  in “Giorno primo” e “Giorno secondo”.

TRAMA: Eskol Lumisade non ha mai dovuto pensare al futuro. Tutto è già stato deciso per lui: il matrimonio con una giovane venuta da lontano; il trono e la corona del Leisir; un impero da governare. Ma un giorno la sua vita cambia all’improvviso: accusato di alto tradimento, viene privato di tutti i titoli nobiliari ed esiliato nelle Store Sletter, la prigione a cielo aperto dell’Impero. Tuttavia lo aspettano nuove avventure al fianco di Ines, una promettente arciera, e Tahir, un giovane sarto proveniente da un altro impero (“Nemmeno Tahir è originario delle Store Sletter, e penso che sia anche per questo che mi sono affezionato a lui così velocemente”).

Innanzitutto – da brava prof – mi sono documentata sul cosiddetto “low fantasy” e ho trovato che si tratta di un genere della narrativa fantasy in cui eventi magici si verificano in un mondo altrimenti normale. Si distingue, quindi, dal genere “high fantasy”, che tratta di storie ambientate in un mondo fittizio con proprie regole e leggi fisiche. L’esempio archetipico di low fantasy è una storia che si svolge in un’ambientazione quasi-storica in cui i protagonisti non hanno una chiara dirittura morale e potrebbero essere ossessionati o guidati da un oscuro passato o da un difetto del carattere e dove gli elementi convenzionali del fantasy (come ad esempio la magia, gli elfi o i nani) sono scarsi o assenti. Tipico esponente del low fantasy è H.P. Lovecraft (di cui, infatti, non ho mai letto nulla), mentre a metà tra high e low (almeno per l’ambientazione, situata in un luogo magico ma appartenente geograficamente al nostro mondo) si colloca ad esempio J. K. Rowling (di cui NON ho sinora letto la famosissima saga di Harry Potter, limitandomi a vederne la trasposizione cinematografica, che mi dicono essere abbastanza diversa). Nel XX secolo – dicunt – la low fantasy si è differenziata in ulteriori sottogeneri:

  • Dark fantasy
  • Urban fantasy
  • fantasy umoristico
  • Paranormal Romance
  • Superhero Fiction
  • Realismo magico
  • Fantasy contemporaneo,

Il low fantasy è presente anche in alcuni videogiochi (altro campo a me completamente sconosciuto) come “Gothic”, “Darklands” e “Shadow Hearts” e in parte nella serie di “Dragon Age”. Inutile dire che per me si tratta solo di nomi e nulla più… 🙁

Lezione finita. La ricerca da parte mia era d’obbligo perché NON ne sapevo ASSOLUTAMENTE nulla, dato che il fantasy non è mai stato il mio genere di romanzo preferito. Eppure questo libro mi ha coinvolto e trascinato nella lettura, nonostante fossi una neofita del genere e non conoscessi il primo volume della saga (“Blueblood – Il motivo delle isole” vol. 1), che ora ovviamente devo leggere prima possibile. Vuol dire che per stavolta procederò a ritroso, avendo iniziato la lettura “in medias res“!

Innanzitutto faccio i miei complimenti ai due giovani autori, “dalla penna felice”: la loro scrittura non solo è “pulita” e corretta sintatticamente (una cosa non sempre così scontata…), ma coinvolgente!

La trama trascina e convince; la narrazione non è noiosa o scontata: caratterizzata da un narratore interno, non è tuttavia diaristica, perché al suo interno confluisce MOLTO della sensibilità moderna (persino in quel contesto, esatto!) e molto del nostro vivere. Vi troviamo, infatti, le nostre scelte, i nostri dubbi, le nostre ansie (“Stavo cercando di non andare nel panico, strozzato dall’idea di un futuro fatto solo di ricordi sbiaditi”), il difficile rapporto padre/figlia (“Un padre può amare la figlia con tutto il cuore, ma avrà sempre una mano in tasca per contare le spese della dote”), il rapporto tra fratello e sorella (“La mia sorellina, però, è troppo attaccata alla nostra famiglia per poter anche solo pensare che il grande Leisir non sia altrettanto grande come genitore”), le paure della crescita e del rapporto con l’altro (“Tahir e io (…) stiamo creando qualcosa che non è di nessun altro, e forse è anche per questo che è spaventoso”), ma anche problematiche della società dei NOSTRI giorni, spesso ancora dannatamente maschilista ed escludente (“Ma quindi ti fanno davvero tirare? (…) Cioè, non… Non ti lasciano in panchina perché sei una donna?”, “Devo essere onesto, ora non capisco perché (le donne) non siano ammesse nell’esercito di Isbre o, addirittura, tra i Raseri”).

Ma c’è anche un-non-so-che del tradizionale e letterario romanzo di formazione: Eskol (soprannominato “Shaasak” da Tahir il giorno in cui si conoscono, per via della sua presunzione) attraversa la vita e cresce interiormente: “Non sono abituato a ringraziare gli altri ad alta voce, dato che non ho mai dovuto farlo in vita mia”, “Prima del mio esilio non avevo mai sperimentato la vita fuori dal palazzo imperiale”,  “L’esilio e la perdita di qualunque privilegio imperiale mi hanno permesso di vedere il mondo attraverso gli occhi delle persone che avrei dovuto governare” e “Sarei stato un Lesir incapace di capire le esigenze del popolo e, di conseguenza, di occuparsi della sua gente”.

Insomma, di tutto un po’. Con cura e buona capacità di amalgamazione.

Per questo, secondo me, i giovani autori faranno strada: del resto, se il buon giorno si vede dal mattino… 😉