Una giornata di Ivan Denisovič

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Si tratta di un breve romanzo (o lungo racconto, come si dice in questi casi…)  scritto da Aleksandr Solženicyn e pubblicato nel 1962; narra la vita di un deportato in un lager russo.  Il titolo originale, Sč-854 (numero di matricola nel gulag del protagonista, alla maniera dei campi di concentramento tedeschi), venne modificato prima della pubblicazione perché ritenuto troppo brutale.

In un giorno qualsiasi del 1953, in un gulag siberiano, con una temperatura di 30 gradi sotto zero, il prigioniero Ivan Denisovič Šuchov si sveglia come ogni mattina alle 5; il breve arco di tempo tra il risveglio e la magra colazione è uno dei pochi momenti “liberi” della giornata. Ma oggi Šuchov si rende conto di avere la febbre, circostanza che ha sempre temuto. Intenzionato a marcare visita in infermeria, viene invece minacciato di punizione da una guardia detto il Tataro. L’uomo è disposto a non denunciarlo se Šuchov laverà i pavimenti delle baracche dei capisquadra, lui accetta volentieri perché dopo sarà libero di tornare a mangiare la brodaglia della colazione. Šuchov si reca a marcare visita, l’infermiere non può esentarlo dal lavoro perché al mattino gli sono permesse solo due eccezioni: di regola le dispense dal lavoro devono essere approvate la sera precedente. Gli misura la febbre, Šuchov ha solo 2 linee sopra i 37°. Deve recarsi comunque al lavoro con gli altri condannati. Passato il controllo delle guardie all’uscita dal campo, è vietato indossare più capi di vestiario di quelli ammessi dal regolamento. Sul luogo di lavoro la loro unica preoccupazione è l’attesa del pranzo, una scodella di sbobba che mangiano con avidità; con uno stratagemma, Šuchov riesce a procurare alla sua squadra di lavoro due scodelle più di quelle che spetterebbero, così il vice capo gli permette di tenerne una per sé. Šuchov è stato condannato a 10 anni di campo di lavoro, che rappresenta la sentenza standard. Nel suo caso, è stato giudicato per tradimento perché è rimasto prigioniero per due giorni dei nazisti nel corso di una battaglia; quando è riuscito a fuggire e tornare al reparto lo hanno accusato di essersi arreso per disfattismo. Al campo ci sono altri condannati per i motivi più vari; uno ad esempio è figlio di un kulak, un contadino piccolo proprietario, appartenente a una classe giudicata controrivoluzionaria durante gli anni più bui dello stalinismo. Gli mancano ancora meno di due anni per giungere a fine pena. La giornata di lavoro trascorre come sempre, la squadra costruisce un edificio, embrione di un nuovo centro abitato. Šuchov è fra i muratori più esperti,è lui che posa i mattoni mentre i compagni trasportano a spalla il materiale, dal momento che la gru si è guastata. Il freddo è terribile, ma anche questa giornata ha termine, i prigionieri si mettono in fila per tornare al campo. Le guardie li mettono in fila per 5 in modo da contarli, poi una seconda conta ha luogo all’ingresso dell’area cintata, dove c’è anche la perquisizione. I prigionieri infatti nascondono sempre nei vestiti frammenti di legna per le stufe. La magra cena è un altro dei rari momenti di soddisfazione nella vita del prigioniero, ma è comunque una lotta per conquistare un posto prima degli altri. Prima di essere liberi di dormire c’è ancora l’ultima conta per assicurarsi che nessun prigioniero sia riuscito a fuggire, malgrado il campo si trovi nel mezzo del nulla e nella stagione più terribile dell’anno. Šuchov si addormenta pensando che quella è stata comunque una giornata positiva. (“La giornata era stata parecchio fortunata: non l’avevano messo in cella di punizione (…). E non si era ammalato, aveva resistito. Era trascorsa una giornata non offuscata da nulla, una giornata quasi felice“).

Angosciante l’explicit: “La pena affibiatagli, dal principio sinoalla fine, contava tramilaseicentocinquantatré giornate come quella. Per via degli anni bisestili si allungava di tre giorni ancora…”).

Già, perché i reclusi in quell'”Inferno concentrazionario” la vita scorreva lenta e non c’erano speranze di fututo: la scorrere del tempo si calcolava in base al passare della singola giornata. Ogni giornata in più era una conquista, specialmente se “fortunata” come quella di Ivan.

La descrizione è dettagliata, fredda, asettica, come quella di Primo Levi.

Ricordiamo che Solženicyn fu condannato  a otto anni di lavoro forzato nei gulag siberiani, rimanendo internato anche dopo il 1956, quando ebbe inizio il processo di destalinizzazione dell’Unione sovietica. La sua affermazione come autore internazionale è legata a Una giornata di Ivan Denisovič, in cui descrive le terribili condizioni dei reclusi nei campi di lavoro.

Dopo un periodo di esilio negli USA, Solženicyn fece ritorno in Russia; il tema dei campi di concentramento sarà al centro di quello che forse è il suo lavoro maggiormente conosciuto, Arcipelago Gulag, pubblicato nel 1974.

Una rifessione su ciò che è stato. Anche nella “Russia comunista”….

latineloqui69

(Liberamente tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

Una giornata di Ivan Denisovičultima modifica: 2016-08-28T10:47:14+02:00da latineloqui69
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