C’è un paio di scarpette rosse

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C’è un paio di scarpette rosse

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

(Joyce Lussu)

Poesia bellissima, che si incentra su un particolare visivo: un paio di scarpette ROSSE numero 24, appartenute quindi presumibilmente ad un bambino di tre anni/ tre anni e mezzo. Un innocente come tanti altri, “colpevole solo di essere nato ebreo” (secondo una fortunata espressione della senatrice LILIANA SEGRE). Scarpette del colore della festa, quindi probabilmente “scarpette della domenica”, quelle necessarie per “andare in Chiesa (o al Tempio, come in questo caso…), secondo gli usi della società del tempo, una società di ristrettezze ma di impegni sacri e indifferibili, da onorare nel migliore dei modi.

Ho sentito recitare questa bellissima poesia da GIGI PROIETTI durante la trasmissione “Viaggio senza ritorno” di Alberto Angela. La sua lettura magistrale ha amplificato il contenuto e il messaggio del bellissimo testo, che avevo letto solo qualche anno fa in qualche post di qualche social.

Bellissima, intensa, importante. PER NON DIMENTICARE…

Di seguito alcune brevi notizie sull’autrice, per chi (come me) non la conoscesse alla perfezione.

Joyce Salvadori in Lussu nasce a Firenze l’8 maggio 1912, figlia di Guglielmo Salvadori e Giacinta Galletti, intellettuali antifascisti. Nel 1924, dodicenne, in seguito alle minacce e all’aggressione subite dal padre ad opera degli squadristi fiorentini, lascia l’Italia insieme alla famiglia e si reca in Germania, dove vede nascere, con allarmata e critica vigilanza, i prodromi del nazismo. Nel 1932 rientra in Italia e si reca a Ponza a trovare il fratello Max, mandato al confino nell’isola con l’accusa di far parte del gruppo romano di “Giustizia e Libertà”. Lei stessa, più tardi, aderirà al movimento. A Joyce viene affidato un documento con le indicazioni per una possibile fuga dall’isola, da consegnare a Emilio Lussu, del quale ha letto sui giornali e sentito parlare dai suoi genitori, che lo avevano conosciuto. Il loro primo incontro avviene a Ginevra nella primavera del 1933. Nel 1939 si lega a lui e con lui vivrà a Parigi fino al giugno del 1940, quando la città viene occupata dalle truppe tedesche. I due raggiungono successivamente Marsiglia dove danno vita ad un’organizzazione di espatrio clandestino, producendo documenti falsi e riuscendo a organizzare le partenze dalla Francia per centinaia di antifascisti di diverse nazionalità. Successivamente saranno in Portogallo e in Inghilterra, dove lei seguirà un corso di addestramento alla guerriglia in un campo militare, prima di far ritorno in Francia. Rientrata in Italia nel luglio del 1943, dopo le dimissioni e l’arresto di Mussolini, Joyce partecipa alla Resistenza: nel 1961 le verrà conferita la medaglia d’argento al valor militare.
Nel dopoguerra è promotrice dell’Unione Donne Italiane e milita per qualche tempo nel PSI, prima di tornare ad occuparsi di attività culturali e politiche autonome. Tra il 1958 e il 1960 sposta il suo orizzonte nella direzione della lotta contro l’imperialismo.
Muore a Roma il 4 novembre 1998.

Insomma, una donna d’eccezione. Come Agnese (la celeberrima protagonista de”L’Agnese va a morire”). Come tante altre, che hanno FATTO la guerra partecipando, rischiando, morendo, passando quindi alla Storia.

Meditiamo, gente, meditiamo…