Il paese sbagliato

Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica

il paese sbagliato

“Il paese sbagliato” alla sua prima pubblicazione, nel 1970, mise a nudo le deficienze di una scuola vecchia e inadeguata. Da allora molto è cambiato, eppure l’insegnamento continua a essere sotto tiro, vittima delle storture di un sistema burocratico e inefficiente, mentre la televisione tende a occupare il tempo una volta dedicato ai giochi e alla lettura. Capire che scrivere è “scoprire gli altri”, che le parole sono anche suoni e colori, che la storia non è quella dei manuali, che si può stare insieme, anche se diversi, è quanto hanno imparato gli allievi di Mario Lodi, giovanissimo insegnante a partire dal 1948 o giù di lì.

Il suo diario racconta quell’esperienza suggerendo il modello di una scuola che innanzitutto vuole educare, e che crede nello studio come occasione di crescita morale e civile (in questo modo, antifrastico, secondo me va inteso il titolo del libro, solo apparentemente pessimistico e sconfortante)..

Non ho mai trovato tanto attuale un libro tanto “vecchio”, che mi è capitato di leggere in un momento in cui anche nella mia scuola si comincia a parlare di “valutazione educativa”: scoprire che già nel 1970 esistevano esperienze didattiche simili è stato per me sconvolgente! “Nessun voto. Ogni alunno fa il suo piano di lavoro con la valutazione individuale, così si abitua ad essere onesto e sincero” (pag. 394).

Ma anche la richiesta di un’educazione sentimentale (che va ben al di là della tanto sbandierata “educazione sessuale”!) di cui si parla anche oggi sui media ogni volta che capita qualche tragedia legata a bullismo o peggio: ” (…) Insegnare le cose che valgono perché due che si uniscono formino una piccola società felice con un forte legame dentro di loro. Così uniti possono affrontare tutti i problema della vita. In questo modo la malizia scompare e i ragazzi diventano seri” (ibid.).Toccante anche il ricordo della Scuola di Barbiana e della figura di Don Lorenzo Milani, con il suo metodo educativo per l’epoca “rivoluzionario” (“Tutti in quella scuola potevano dire quel che pensavano e raccontare le loro esperienze. Libri di testo erano i giornali, le riviste, la Costituzione, i resoconti parlamentari, e vi si parlava naturalmente di tutto, di politica e di sindacalismo” (pag. 457).

L’impostazione del libro è diaristica, come indica il titolo stesso: cinque anni di esperienze didattiche registrate, commentate, riportate con zelo: dalla classe prima del 1694-65 alla classe quinta  del 1968-69. Protagonisti, sempre gli alunni: con la loro sofferenza, la loro fatica, le loro debolezze, ma anche le loro piccole conquiste quotidiane.

Bellissima la  “Lettera aperta ai giovani maestri”, aggiunta in occasione della ristampa del 1995, in cui l’autore si rivolge ai suoi colleghi più giovani, vincitori del concorso di quell’anno e quindi in procinto di “entrare in ruolo”.

Da leggere, assolutamente!