Mi sa che fuori è primavera

fuori_primavera“Il lutto in assenza del corpo è un’emorragia misteriosa e inarrestabile: hai sempre nuova linfa da perdere, si rigenera, non arriva mai il giorno in cui si estingue”

 

Angosciante: non ci sono altri termini per definire questo romanzo, un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna.

È la tremenda storia di Irina, una donna italiana che vive in Svizzera e che ha una vita serena, ordinata, con un marito, due figlie gemelle e un prestigioso lavoro da avvocato. Un giorno qualcosa si incrina e il matrimonio finisce, come quello di tanti e senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, le porta via – come da accordi. Ma le due bambine spariscono nel nulla e qualche giorno dopo l’uomo si uccide. Delle bambine non c’è più nessuna traccia.

E così Irina si ritrova sola con la sua angoscia, la cupa disperazione, l’amara desolazione, accompagnate, per giunta, dalla non-definizione del proprio status; sì, perché -se ci pensiamo con attenzione- il caso di un genitore che perde un figlio non ha neppure la “fortuna” di avere un termine identificativo: chi perde i propri genitori è un orfano, chi perde il proprio coniuge è un vedovo; chi perde prematuramente un figlio è un essere senza nome… Quel termine NON esiste in tedesco, né in francese, né in italiano né in spagnolo; in inglese c’è un generico “bereaved” (=deprivato di chi si ama). È presente, invece, in ebraico antico e moderno (“av shakul”, maschile, e “em shakula”, femminile, entrambi dal verbo “shakal”= perdere un figlio), in arabo (“thaakil”, maschile, e “thakla”, femminile, dalla stessa radice di “shakul”), in sanscrito (“vilomah” = contro l’ordine naturale; frequentemente usato per indicare la perdita di un figlio), in greco moderno (“charokammenos”= bruciato dalla morte; non specificato, ma usato di preferenza per indicare un genitore che perde il figlio, quindi resta con la sua persona ustionata, piagata nel corpo prima ancora che nell’anima) e in greco antico (il generico e frequente “orphanos”= chi ha perso il padre e chi ha perso il figlio; l’hapax leonideo “orphanios”= vuoto/vuota di qualcuno; l’hapax sofocleo “teknoleteteira”= che ha perso/ha ucciso un figlio), in cui come al solito rileviamo che “solo la poesia vede quel che gli altri non possono, non sanno o non vogliono vedere”.