Consigli per una buona traduzione

‘NELLA TRADUZIONE NON AFFIDATEVI ALLA FANTASIA’

di GREGORIO SERRAO, professore ordinario di Grammatica Greca all’ Università di Roma

I CONSIGLI pratici che si possono dare ai maturandi sono innanzitutto due:

1.Badare che la traduzione italiana abbia un senso soddisfacente, altrimenti si può essere sicuri che il testo greco è stato frainteso e la traduzione è errata, perché è inconcepibile che i Greci, che furono gli inventori della logica, scrivessero frasi sconnesse e parole in libertà;

2. Nel tradurre non affidarsi mai alle ali della fantasia, è necessario che la traduzione sia confortata dall’ analisi logica e grammaticale del periodo e dall’ uso paziente e costante del vocabolario che permette di scegliere il significato più appropriato e più aderente al contesto che si ha sotto gli occhi.

Molto istruttivo un caso capitato a me stesso: insegnavo al liceo ed avevo dato, come compito in classe, un passo di Plutarco di argomento romano in cui, ad un certo punto, si diceva che il Senato (boulé) si era alzato in piedi; ora “boulé” significa “volontà”, ma già sin da Omero anche “decisione, consiglio”; con questo termine venne chiamata, nella democrazia Atene, l’assemblea clistenica dei 500 e di questo termine si servirono gli scrittori greci per designare il Senato romano, come faceva appunto Plutarco nel passo in questione. Naturalmente qualsiasi dizionario elenca questi significati, ma molti ragazzi si son fermati alla prima accezione fornita ed hanno tradotto il termine greco “boulé” con la parola italiana “volontà” e siccome, nonostante tutta la buona volontà dei ragazzi, era impossibile che la volontà si alzasse in piedi, alcuni di loro hanno tentato di rabberciare il senso del passo violentando in vario modo il testo greco. La conseguenza è facilmente intuibile: il passo è stato completamente frainteso e ne son venute fuori le più strane ed arzigogolate interpretazioni.

L’ultimo consiglio che possiamo dare ad ogni candidato è di aver fiducia nelle proprie capacità e di non accogliere supinamente il suggerimento del compagno.

Anche qui voglio raccontare un caso che mi è capitato molti anni fa mentre ero commissario agli esami di maturità. Il testo greco da tradurre parlava del valore di Epaminonda che, sebbene ferito gravemente durante il combattimento, fasciava (εδει) la ferita e subito ritornava a combattere. Orbene molti candidati hanno tradotto “lasciava” invece che “fasciava”, e l’origine dell’errore è facilmente intuibile. Un candidato più bravo avrà suggerito al compagno vicino la traduzione esatta, ma questi, o qualche altro dopo di lui, avrà recepito male il suggerimento (“lasciava” invece di “fasciava”) che, così errato, è stato poi, di bocca in bocca, trasmesso agli altri, i quali lo hanno tutti passivamente accolto; mentre un po’ di riflessione e un semplice controllo del dizionario li avrebbe salvati da un errore così grossolano.

Concludendo: un po’ di buon senso, l’analisi logica e grammaticale del periodo, un accurato ed intelligente uso del vocabolario ed infine una buona dose di fiducia nelle proprie capacità, aiuterà i maturandi a superare felicemente la difficile prova di domani: ce lo auguriamo.
21 giugno 1987.

Ho ritrovato quasi per caso questo bellissimo articolo, pubblicato ben trentatré anni fa, in cui era intervistato un luminare della lingua greca, il Prof. Gregorio Serrao, che ben presto avrei avuto l’onore di conoscere all’università e di avere come Relatore della mia tesi. Solo tanti anni dopo la mia laurea ho saputo della sua morte, trovando su Internet un intervento di una sua grandissima collega, la Prof.ssa Maria Grazia Bonanno, notissima filologa ed esperta di letteratura greca, che in un articolo del 2007  intitolato “Ricordo di Roberto Pretagostini” così lo ricorda: “Per Gregorio Serrao la cerimonia, naturalmente triste, ma pur sempre affettuosa e partecipata, si era svolta alla presenza dei familiari, di molti colleghi e amici (e non soltanto di “Tor Vergata”) (…); io dissi il mio saluto personale a Gregorio in forma di “lettera aperta”, Roberto Pretagonistini parlò da direttore del dipartimento, ma anche da allievo-figlio, finendo il discorso con la voce rotta dall’emozione“. Roberto Pretagostini è stato un altro grandissimo grecista e classicista doc che se ne è andato prematuramente, nel 2006.

In quegli anni Internet non aveva ancora la diffusione virale che ha oggi: se non leggevi il necrologio sul quotidiano o non ti imbattevi in cerimonie commemorative non necessariamente venivi a  sapere della scomparsa dei tuoi ex prof., purtroppo. Così ho perso l’occasione di salutarlo e ringraziarlo.

Lo faccio qui ora, per quel che può valere: è stato grazie a lui che il mio amore per la lingua e la letteratura greca (ricordo un bellissimo corso monografico sull’Aiace che porto ancora nel mio cuore…) si sono cementati, dopo aver avuto delle solide fondamenta gettate al liceo dalla mia professoressa del cuore, il mio “mentore” (come io la chiamo ancora adesso e come lei ben sa…), “la Tomas” (come la chiamiamo tutti da sempre con un nomignolo affettuoso e rispettoso allo stesso tempo).

Ricordo i suoi tempi biblici nelle spiegazioni, la certosina analisi dei termini a partire dall’etimologia, la non troppo pedantesca classificazione dei nomi della terza declinazione, che ci chiedeva a lezione esattamente come aveva fatto (probabilmente) ai suoi studenti di scuola superiore, la sua fissazione per la metrica, le sue traduzioni eterne e ricchissime che ci mandavano al manicomio, perché non riusciva mai a tradurre in un solo modo: non appena finiva la frase la ridiceva, la arricchiva, la correggeva con un paziente  e meticoloso oraziano labor limae. Ricordo ancora la sfida che mi lanciò proponendomi per la tesi di laurea un argomento alquanto “strampalato” come il Παρακλαυσιθυρον, di cui avevo a malapena letto qualche riga nel manuale di letteratura greca:  “Quasi nessuno in Italia ha scritto sull’argomento, ma le assicuro che è molto interessante e Lei lo può fare. Sono sicuro che Le piacerà”. Ricordo le mattinate “lente” di revisione dei capitoli della tesi, in cui scorreva davanti a me le frasi una per una, annotando a margine correzioni, suggerimenti, proposte. Sempre cortesi, mai invasive. Ricordo la sua visibile emozione nel leggere quello che avevo scritto: lui, anziano professore e luminare di greco, si compiaceva delle ipotesi di una giovane laureanda di lettere classiche, certamente una formica di fronte ad un Gigante! Ricordo la sua presentazione, come docente relatore, del mio lavoro nella seduta di laurea: parole di ammirazione, di soddisfazione, di congratulazioni, ben oltre ogni ragionevole attesa da parte mia. E poi ricordo bene -dopo la discussione della tesi- la sua proposta di collaborazione con lui, che io declinai perché troppo interessata a diventare quello che sono ora: una prof. di scuola superiore, una che deve “combattere” tutti i giorni con studenti adolescenti cercando di gettare un seme, non una ricercatrice, nonostante la mia ammirazione sconfinata per i Ricercatori di ogni dove.

Nei tre anni di frequentazione all’università (prima annualità, seconda annualità, lavoro di tesi) mai una parola fuori posto. Mai una parola sgarbata. Mai una reazione esagerata, neppure di fronte agli studenti che “andavano a provare” un esame (eh, già: si è sempre fatto!): con la calma serafica di un anziano nonno si limitava a dire che sarebbe stato opportuno riprovare un’altra volta. Sembrava l’incarnazione algida del καιρος.

Ecco perché mi emoziona rileggere questo vecchissimo articolo di più di trent’anni fa: ora mi ritrovo ad avere le sue stesse esperienze didattiche, a sorridere degli strafalcioni dei miei studenti nelle versioni di greco (o latino, ovviamente…). E scopro che anche un Titano come lui ha sorriso, magari in modo malcelato…

Grazie, grandissimo ed eterno Professor Serrao!