Fatti coatti (o quasi)

coatti

“In ognuno di noi convivono due anime: una controllata e formale, l’altra anarchica e sbracata. Ecco io definirei quest’ultima l’anima coatta. L’anima insolente, sbruffona e ironica che ci aiuta a sorridere dei difetti altrui, ma soprattutto a ridere dei nostri” (dalla quarta di copertina).

Partendo da questa definizione, Carlo Verdone  (Roma, 17 novembre 1950), ci accompagna attraverso una Roma becera e popolare, tante volte rappresentata nel corso della sua carriera di regista. Molto dell’atmosfera di sbruffoneria, ironia, gusto del ridicolo dei suoi film si riflette così in questa narrazione paradossale e divertente.

Alfredo il Calzolaio, Gino il Meccanico, gli amici del bar Mariani, i bulli di Trastevere, la Sora Lella, i coatti di nuova generazione: qualsiasi personaggio descriva, qualsiasi situazione ricordi, srotolando la matassa della memoria o sviluppando una piccola sceneggiatura mentale, Verdone sta comunque raccontando un’idea che è già cinema. E grazie alla sua straordinaria inventiva, che spazia dai classici della commedia ai supertrash nostrani, può dar vita al miracolo: la contaminazione continua tra realtà, cinema, sguardo disincantato sul mondo e “coattitudine”, con scambi continui tra i vari livelli, che fanno esplodere battute irresistibili.

Macchina perfetta di comicità, Verdone vive da anni le più profonde contraddizioni della nostra società, liberando il segreto desiderio di ognuno di noi: essere insieme civili e coatti, seri intellettuali e terribili maleducati, bravi ragazzi e insolenti gradassi. Da questo magico equilibrio nascono personaggi trascinanti, che non possono non assomigliarci. Almeno un po’.

“Per questo giriamo ancora storie riprese come dal buco della serratura, raccontiamo una piazza, una strada quando dovremmo avere molto di più da dire”.

Mitico Verdone.

Latineloqui69