La scuola raccontata al mio cane

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La scuola raccontata al mio cane è un saggio scritto da Paola Mastrocola pubblicato dalla casa editrice Guanda nel 2004.

Dveo essere sincera: il titolo non mi ha mai attirato: non riuscivo a vedere il nesso immediato tra argomento (racconto del mondo della scuola) e destinatario fittizio (il cane). Per questo, pur avendo letto tanti altri libri dell’autrice, ho rimandato anni prima di decidermi ad acquistare anche questo. E invece mi sbagliavo! Il cane è una trovata narratologica discreta: rappresenta la cornice di tutto il racconto, una sorta di “ritorno alla realtà” rispetto alle vicende raccontate (oltre ad essere, ovviamente, un elemento autobiografico non indifferente).  L’autrice, infatti,  spiega al suo cane “Perry Bau” come è cambiato il mondo della scuola negli ultimi anni dal suo punto di vista: riforme assurde, progetti vari al posto di lezioni “normali” (alias tradizionali, ergo noiose…)  e altre situazioni nuove e difficili da accettare per  un’insegnante di letteratura “all’antica” come lei. Il suo “problema professionale” inizia un giorno, in modo del tutto casuale (anzi meritorio…): ” A un certo punto sono stata fuori dalla scuola qualche anno. Avevo vinto un dottorato, e poi una borsa di studio post-dottorato. Sono stata quindi in aspettativa « per motivi di studio » due volte, la prima volta quasi quattro anni, dal gennaio 1992 al settembre 1995, e la seconda volta due anni, dal gennaio 1997 al dicembre 1998. Ho fatto due stacchi nella vita di scuola“. Non lo avesse mai fatto! Al suo rientro nei ranghi trova la scuola completamente trasformata, anzi deformata! La scuola NON era come l’aveva lasciata, si era “geneticamente modificata”, era diventata “altro da sé” (“Non capivo più niente. Non riconoscevo le persone, le cose, i muri, nemmeno l’aria del mio liceo. Sembrava in atto una mutazione geo-antropologica. Mi avevano cancellato un mondo e me ne avevano disegnato un altro. Chi? Quando? Che cosa era accaduto? Mai assentarsi qualche anno dal proprio lavoro (o più in generale dalla propria vita), si rischia di non ritrovare più nulla“).

Inizia quindi il desiderio di capire “dove stiamo andando”:l’autrice presenta (molto in sintesi) le novità della riforma deli ministri D’Onofrio prima e Berlinguer poi, parlando dell’avvento dell'”èra del recupero” e dell'”èra dell’autonomia”, parlando di fatti e questioni ben note agli esperti del settore, ma meno ai “comuni mortali”: POF, offerta formativa e utenza, dirigente scolastico, accoglienza, progetti, corsi curricolari ed extracurricolari, debito formativo, recupero, corsi di recupero, pubblicazioni dei tabelloni finali e correlata legge sulla privacy. Due riforme che- in sintesi- avevano creato dal nulla una “scuola facile, socializzante, divertente, flessibile, adeguata, moderna, innovativa, computerizzata, assistenziale, permissiva, aperta… non punitiva, non premiante, non meritocratica, non noiosa, non difficile, non esigente… (…) scuola-parcheggio, giardino d’infanzia, centro sociale, club Méditerranée, (…)  scuola di griglie e di progetti, di moduli e percorsi, di obiettivi e strategie… (…)  scuola che (…)  forse li rovinerà, condannandoli per sempre a una Ignoranza abissale che non potrà non avere conseguenze sul loro futuro professionale“.

Ed era “solo” il 2004. Era ancora ben lungi dall’essere concepita la riforma della “Buona Scuola” di Renzi, che ha portato altre sostanziali novità al mondo della scuola!

Voglio fare mio (per OVVI motivi) un passo del libro che -nonostante tutto- mi fa molto morale: “Credo che noi insegnanti ci salveremo. Non è nostra la tragedia. Il problema vero non siamo noi. Sì, noi insegnanti ce la faremo. Persino noi di lettere, così perseguitati dalla sorte, schiacciati dal peso della nostra materia tanto inutile e disastrosamente fuori moda. Credo che ci salveremo. D’accordo, adesso sembriamo un po’ a disagio. Fortemente a disagio. Direi come se ci avessero bastonati e poi messi in uno stadio a correre i 400 metri e a fare il salto con l’asta: un po’… provati, ecco. È dura, ma ce la faremo. Non so perché dico questo, lo sento“.

BENE SPEREMUS!!! 😉

latineloqui69