Nome di donna

“Molestie? Ai mei tempi si chiamavano complimenti!”

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Non c’è niente da fare: il marchio del bravissimo Marco Tullio Giordana si riconosce lontano un miglio. Chi conosce i suoi capolavori precedenti a questo ne riconosce le fattezze in questo ultimo  film di impegno sociale. Una pellicola che parla di molestie, di violenze, di connivenza, di paura, di maschilismo, di pregiudizi. In una parola, di sessismo.

La bravissima Nina (Cristiana Capotondi) è una restauratrice innamorata del suo lavoro. È anche madre, una splendida e amorevole mamma giovanissima. Una ragazza madre, per l’esattezza. Per questo si trova a dover accettare qualsiasi occupazione, come bene sanno i monogenitori che le provano tutte per crescere al meglio i loro figli. Finalmente un giorno riesce ad essere assunta per le pulizie in una rinomata Casa di cura: non svolge il lavoro che ama, ma un lavoro che le permette di pensare a sua figlia senza grosse difficoltà. Per questo le piace comunque. Lì incontra una simpatica anziana (la bravissima Adriana Asti, vecchia “conoscenza” di Giordana), sola ma reattiva. Grazie alla sua amicizia comnicia a scoprire qualcosa che non va in quella casa di cura. All’inizio pensa che la cosa non la riguardi più di tanto, ma la cosa dira poco. Un giorno viene convocata dal direttore nel suo ufficio a fine turno.

Il tono della conversazione non lascia tanto spazio a dubbi e lei lo percepisce subito. Esatto, perché certe situazioni si “annusano” nell’aria. Le si nega a prescindere, ma difficilmente ci si sbaglia. E lei non si è sbagliata. Riesce -per fortuna- ad andare via illesa dalla tana di quell’orco, ma è sconvolta. Non pensava che le sarebbe successo. Non a lei. Racconta il tutto alle sue colleghe e legge nei loro occhi quello che non avrebbe voluto mai leggere…

Allora decide di battersi non solo per sé, ma anche per tutte quelle che hanno vissuto la stessa tragedia. Però non si tratta di una strada facile: prima deve convincere il titubante compagno della bontà della sua scelta, poi deve affrontare una serie di intimidazioni, infine deve imparare a vivere nella solitudine. Esatto, proprio solitudine. Perché al lavoro tutte le fanno terra bruciata intorno, togliendole amicizia, chiacchiere, saluto. Persino la figlia comincia a pagare a scuola le scelte della “scellerata” madre. E solo a quel punto comincia a cedere: qualsiasi cosa, ma non il convolgimento della figlia…

Nella bellissima Capotondi ci siamo individuate tutte noi, donne lavoratrici, nel giorno del 25 novembre (quando la Rai ha deciso di mandarlo in onda), magari anche donne lavoratrici e madri, magari anche ragazze madri. Una vita di sacrifici, una vita di compromessi, una vita di umiliazioni e di rinunce. Sempre se non si incappa di qualcosa di ben peggiore…