Le rimpatriate, quelle belle ♥️

L’idea e la pratica sociale della rimpatriata si deve a quel gran genio di Carlo Verdone, che la inventò nel lontano 1988 con quel capolavoro cinematografico che fu “Compagni di scuola”. La prima volta che vidi quel film mi dissi che anche a me sarebbe piaciuto provare un’esperienza simile, cercando i miei ex compagni di classe e trovando il modo per rivederci. Inutile dire che il dio Internet ha fatto il resto, come sempre.
Era il lontano 2013 e ricorreva un importante anniversario della maturità della mia classe e mi misi in testa di provarci. Perché era una data “importante” (una specie di diktat di sveviana memoria per una malata di libri e di letteratura come me), perché Verdone mi aveva insegnato che non si può perdere nella vita un’esperienza come quella, perché io e i miei compagni di studi ce lo meritavamo.  All’inizio sembrava un’idea folle… Avevo solo qualche numero di telefono di qualche compagna che avevo continuato a vedere e frequentare per pura casualità (ci eravamo reincontrate, entrambe pancione, presso lo stesso parrucchiere) o per impegni comuni (ci eravamo ritrovate ad un concorso o nello stesso posto di lavoro). Iniziai a rovistare per casa, alla ricerca di vecchi diari, in cui ricordavo di aver registrato vecchi numeri di telefono, rigorosamente fisso. Fui fortunata e ne trovai uno con cui sentii di potermi “lanciare”. Lo stupore dall’altro capo del filo fu tanto, ma fu maggiore il piacere di risentirsi. Non riuscii nell’intento del coinvolgimento in quell’evento di sapore “verdoniano” (Esiste il termine? Non ne sono certissima…) ma naturalmente ne rispettai le motivazioni; mi rimase comunque la bellissima sensazione di quella conversazione ripresa, di quello scambio di emozioni a lunga distanza di tempo. Per proseguire nella ricerca mi affidai quindi all’onnipossente Facebook, che ha tanti difetti ma sicuramente ha il grande pregio di aiutarti a ricucire i fili della tua vita… Complici le foto della nostra vita che mettiamo online per farci ritrovare,  riuscii a ricontattare quattro/ cinque compagni (non di più, purtroppo…) che non vedevo e non sentivo da tempo immemorabile. Creammo un gruppo Messenger (quelli di Whatsapp non erano ancora decollati…) e ricominciammo a sentirci. Fu uno stupore scoprire che non si era perso nulla: riprendemmo a chiacchierare dal lontano anno della maturità, come se i decenni intercorsi si fossero magicamente azzerati! Stessi toni, stesse battute, stesse risate, stessa freschezza! E fu una gioia scoprire che avevamo battuto persino il mitico Verdone, lasciando fuori da questa prima rimpatriata quel sottile tono di amara tristezza che pervade quel film. Noi ci eravamo ritrovati, al contrario di lui e dei suoi ex compagno di scuola, tutti allegri, gioiosi, pieni di vita. Nonostante i problemi, le vicissitudini della vita, le difficoltà, nessuno di noi mostrava nulla di quegli aspetti un po’ grotteschi che il grande Carlo ci ha consegnato…. Era stata una vittoria. Andava ripetuta. E così facemmo. Ognuno di noi portava un ricordo, un contatto mantenuto, una fotografia sbiadita, una vecchia lettera scritta a mano o una e-mail e pian piano riuscimmo ad “agganciare” anche quelli che avevano scelto di non “mettersi su Facebook”. Così il gruppetto sparuto divenne ben presto un gruppo più nutrito e l’idea folle divenne una piacevole abitudine. Quando Whatsapp entrò di prepotenza nelle nostre vite tutto fu più facile, ovviamente. Ma questo non vuol dire che non siamo sempre riusciti a coinvolgere anche chi ha scelto lecitamente di non avvalersene nella sua vita. Da allora in poi, non passa anno che non riusciamo ad organizzare una sana rimpatriata in occasione del nostro anniversario scolastico, ma anche uscite improvvisate, gite organizzate, se non addirittura viaggi importanti. Perché quando un rapporto di amicizia è sano e ha radici forti e ben nutrite può riprendere in un momento qualsiasi della nostra esistenza, cercando e trovando il giusto posto nell’intricato garbuglio delle relazioni delle nostre vite. Non si intreccia alle altre relazioni, non cerca di sovrapporsi o di sostituire, ma semplicemente ritrova il suo posto naturale, accanto alle altre…
Ieri era una di queste occasioni preziose, l’ennesima rimpatriata ormai, tuttavia mai uguale alle precedenti. Dopo una faticosa e farraginosa organizzazione (perché ognuno di noi ha una sua vita fatta di impegni, problemi, scadenze, obblighi e non è mai facile trovarsi tutti d’accordo…) io e alcuni dei miei cari compagni di scuola (che qui chiameremo semplicemente Michela, Vito, Renato, Emilio e Alessandro) ci siamo ritrovati intorno ad un tavolo per una piacevolissima e scanzonata serata insieme. Complice la sempre valida atmosfera simposiale, ci siamo confrontati, abbiamo discusso, abbiamo riso, abbiamo ricordato. Per qualcuno era la prima volta dopo decenni, perché riusciamo sempre ad agganciare qualcuno di nuovo, quindi è giusto riservargli ogni volta il “posto d’onore”, con le sacrosante domande di rito (Che lavoro fai? Dove vivi? Hai figli?).
Alla fine, l’idea di scattarci una foto particolare, di quelle che vanno tanto di moda tra i diplomati nativi digitali: quindi tutti davanti al nostro amato Liceo Kant per la nostra foto di rito! E lì, complice l’ambientazione per noi così importante, i ricordi, le battute, le gag sono rivenuti a galla e sono state risate su risate. Insieme alle “solite” commemorazioni di alcuni nostri professori, quelli che hanno veramente “insegnato”, lasciando letteralmente “il segno” dentro di noi, per un motivo o per un altro.
Perché certi momenti della nostra vita hanno un non so che di prezioso e quasi di misterioso: andare a scuola è uno di questi. Lì per lì sembra un puro e pesante dovere da assolvere, uno dei tanti della vita (devi andare a scuola perché sei in età dell’obbligo, perché devi prendere un diploma, perché devi cercare un lavoro, possibilmente dignitoso, perché devi trovare il tuo posto nel mondo…), ma poi col passare degli anni esso rivela la sua vera e nascosta natura: quella del paziente lavoro di semina. Dopo anni, tanti anni, ci ritroviamo alberi cresciuti e slanciati nella foresta della vita e non possiamo che ringraziare chi ha gettato il seme giusto al momento giusto… Quindi grazie a chi ha fatto questo paziente e spesso difficile se non ingrato lavoro anche con noi!

Ora mancano solo pochissime persone che non siamo mai riuscite a coinvolgere, ma non gettiamo la spugna! Prima o poi dobbiamo riuscirci!
Nel frattempo, alla prossima graditissima rimpatriata, cari amici!