Il rogo di Berlino

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“Dopo la nascita di mio fratello Peter, mia madre scoprì di aver sbagliato carriera. Ben presto si convinse che servire la causa del Fuhrer fosse più onorevole dell’allevare i propri figli; così ci abbandonò entrambi in un appartamento di Berlin- Niederschonhausen e si arruolò nelle SS”.

Proprio così…

Helga Schneider (Steinberg, 17 novembre 1937) è una scrittrice tedesca naturalizzata italiana che compone le sue opere in lingua italiana, che nel 2010 ha vinto il “Premio Renato Benedetto Fabrizi” dell’ANPI perché «propone ai cittadini del mondo e alle nuove generazioni la propria vicenda e quella della propria gente nel momento più buio della storia e dell’umanità.»

Nel prologo del romanzo siamo a Vienna nel 1971. In un appartamento nel cuore della città una giovane donna sta per incontrare sua madre, che non vede da trent’anni. Dopo un abbraccio quasi di rito, la madre conduce la figlia verso un armadio, lo apre e gli mostra, con un sospiro di nostalgia, la sua uniforme nazista. Helga scappa via, inorridita. Passeranno altri vent’anni prima che Helga si decida a ripercorrere quei traumi della sua infanzia e a scriverne un libro. A qual punto inizia il primo capitolo di questo coinvolgente romanzo, che “ripiomba” a Berlino, nell’autunno del 1941 e finirà con il ventitreesimo capitolo, a Berlino, nella primavera del 1947.

Una sorta di diario psicanalitico, in realtà, in quanto non si tratta di un’opera storica neutra e asettica, bensì di uno scritto liberatorio, una sorta di “resa dei conti” con il passato.

A tratti sconvolgente per la durezza dei quadri ritratti, ma di doverosa lettura.

 

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