Auschwitz è di tutti

 

auschwitz tutti

“Auschwitz è patrimonio di tutti. Nessuno lo dimentichi, nessuno lo contesti. Auschwitz rimanga luogo di raccoglimento e di monito per le future generazioni”.

Un altro resoconto, un memoriale di una sopravvissuta all’inferno in terra, prima Auschwitz-Birkenau poi Bergen-Belsen. La storia inizia nel 1944 a Trieste. Marta ha diciassette anni e una vita “normale”, fatta di gioie, esperienze, normalità. Una normalità che scompare all’improvviso la sera del 29 marzo, quando due SS fanno irruzione in casa per prelevare la famiglia Ascoli, per metà ebrea. È l’inizio di un calvario senza fine. La prima tappa è la risiera di San Sabba, unico campo di concentramento nazista in Italia; poi la separazione dalla madre, il terribile viaggio in treno verso Auschwitz; quindi Birkenau, poi Bergen-Belsen, la neve, i lavori forzati, la denutrizione, le malattie, le torture. Dentro di lei una frase, che suona come una condanna a morte continuamente rinviata: «Tu da qui non uscirai che per il camino». Marta per più di un anno di vita infernale resta tenacemente attaccata alla vita con tutte le sue forze, ma ad un certo punto non ce la fa più: comincia ad invidiare le compagne che muoiono, perché hanno smesso di soffrire; così un giorno, stremata, decide di farla finita: incrocia una sentinella e la supplica di spararle, ma questa non esaudisce il suo “desiderio”. Marta si chiede il motivo di quel rifiuto: non la ritiene degna di essere liberata di quell’orrore? Sa che la fine è vicina, quindi non le vuole togliere quella misera ricompensa per ciò che ha patito in quel luogo di morte?

Fatto sta che il 15 aprile 1945 (il giorno della liberazione per mano degli Inglesi) arriva di lì a poco e con esso la gioia immensa e inesprimibile del ritorno a casa, quella casa i cui contorni erano diventati sempre più labili ed evanescenti durante la prigionia, quel “nido” tanto sospirato e ritenuto ormai perso per sempre e irrecuperabile durante l’anno di privazione di tutto. Le ci vollero decenni, lunghissimi anni di tentata rimozione e di tentativi di ritorno alla normalità interrotta, prima che potesse riprendere riprendere in mano il suo inferno personale; finalmente, nell’ottobre 1986, ritenne di poter tornare ad Auschwitz: voleva cercare di capire come simili eventi erano potuti accadere. Ma capire non fu possibile, “perché quel genere di massacri non ha spiegazione”. Una sola, ma grandissima, la consolazione: “Capii a un tratto perché avevo voluto tornare, quella era la mia rivincita: camminavo da libera sul posto dove ero stata derisa, calpestata, umiliata. Forse avevo vissuto per questo”.

Sono parole simili a quelle scritte da Sami Modiano nel suo capolavoro “Per questo ho vissuto”: evidentemente l’idea di essere stati “scelti” come testimoni dell’ineffabile deve essere stato davvero l’unico “gancio” con la vita per i sopravvissuti a una simile esperienza.

E noi non possiamo che ringraziarli di una simile tenacia…

(Dati e linee essenziali della trama tratti da googlelibri.it)