A proposito della VII lettera di Platone

‘UN TESTO BELLO, DELICATO, DIFFICILE’ 

(articolo di DANIELA PASTI, 23 giugno 1987).

Un testo particolarmente difficile, una traduzione che non presentava punti oscuri, né concettuali né formali: i pareri sul compito di greco che gli studenti hanno dovuto affrontare ieri mattina sono contrastanti. La versione era attesa con un certo timore da parte dei ragazzi, che si sentono più rassicurati dal latino, e con molta curiosità da parte dei grecisti per la lunga assenza, quattro anni, di questa materia dal calendario dell’ esame scritto. La scelta è caduta sulla settima lettera di Platone, un testo giudicato unanimemente molto bello.

“Platone è probabilmente il maggior prosatore di tutti i tempi”- dice Giovanni Ferrara, docente di storia greca all’ università di Firenze. Su questo scritto in passato si nutrivano dei dubbi: veniva giudicato di scuola platonica, ma la filologia moderna lo ha attribuito decisamente al filosofo del V secolo. Nella lettera, una specie di testamento spirituale, Platone rievoca le sue prime esperienze politiche: ad una giovanile adesione al gruppo dei trenta oligarchi, seguirono le delusioni, finché la morte di Socrate lo allontanò definitivamente dalla vita politica di Atene. “E’ un testo bellissimo che non pone particolari difficoltà di traduzione, si vale di uno stile molto espositivo, ma è molto delicato da leggere- dice Ferrara.- Platone colpito da questa morte afferma nella lettera che non ci si può occupare di politica almeno finché i re non saranno filosofi e i filosofi re. Un giovane che lo leggesse senza preparazione potrebbe interpretare lo scritto come un invito al qualunquismo, un rifiuto della politica come di una cosa sporca. Il discorso di Platone è molto suggestivo, però bisogna appunto mettere in guardia gli studenti da questa interpretazione. Deluso dalla politica infatti Platone non si rivolse verso il privato, ma si dedicò alla conoscenza della verità: pose le basi della sua filosofia e quindi del pensiero occidentale”. Ferrara, che in quanto esponente repubblicano è anche profondamente coinvolto nella vita politica, esprime dunque una preoccupazione su come questo messaggio possa essere accolto dai giovani: “In realtà- aggiunge- quando Platone decise di allontanarsi dalla politica lanciò una gigantesca sfida, quella di dimostrare che la vera missione dell’uomo è la contemplazione di Dio. Ma questa è una sfida che solo le persone molto dotate, molto creative, possono raccogliere. Non tutti sono autorizzati a fare questa scelta”.

Il brano scelto, che parte quasi dall’ inizio della lettera ed è lungo una ventina di righe, pone però anche altri problemi di interpretazione. “E’ un brano scelto con intelligenza, uno dei pochi casi di autobiografia di un autore arcaico, molto bello però pieno di sfumature -dice Luciano Canfora, ordinario di filologia classica all’ università di Bari e autore di una “Storia della letteratura greca” (ed. Laterza) in cui molte pagine sono dedicate alla lettera in questione-; Platone deve spiegare perché si sia avvicinato ai trenta tiranni che ad Atene compirono dei veri scempi, ed è un po’ reticente, un po’ imbarazzato a farlo. Sceglie le parole con molta oculatezza, usa termini che talvolta sono ambigui e vanno interpretati. Per esempio circa a metà del brano dato agli esami lui usa una espressione che tradotta letteralmente significa rivolgersi con la mente verso qualcuno ma che in questo contesto va interpretata mi schierai con. Dopo alcune righe cita appena un episodio senza soffermarvisi: l’arresto di Leone, un cittadino democratico, un arresto al quale Socrate si oppose. E’ un episodio molto famoso e come per tutto il resto del testo sarà stato facilitato nella traduzione il ragazzo che già lo conosceva. Quindi per interpretare correttamente il brano era importante che il ragazzo avesse una buona conoscenza della vita di Platone e di quel periodo storico? Sì, una cultura più generale di quel periodo senz’altro avrà facilitato la comprensione”. E da un punto di vista sintattico il testo presentava difficoltà particolari? “Non mi pare. Seneca o Tacito sarebbero stati sicuramente più difficili. Platone usa un tono narrativo, molto piano e comprensibile”.

Ettore Paratore trova invece il testo un po’ più difficile delle prove di greco abitualmente chieste alla maturità. Anche per Paratore però questa difficoltà si cela soprattutto nella penetrazione del significato. “Nel complesso- continua il professore-, avrei visto meglio una prova di latino, che è tuttora una lingua più viva e di maggiore attualità.

Chi dichiara senza mezzi termini che la traduzione era molto difficile è Gregorio Serrao, ordinario di grammatica greca all’Università di Tor Vergata. “E’ un bel testo, però non era da dare ai ragazzi come prova di esame. La sua scelta conferma il fatto che la Falcucci è un pessimo ministro, il peggior ministro della pubblica istruzione dalla Liberazione a oggi”.

Quali sono le difficoltà che riscontra Serrao? “E’ un brano pieno di anacoluti e di participi congiunti. Proprio verso la metà c’è un anacoluto lunghissimo, molto difficilmente i ragazzi avranno saputo tradurlo. Senza contare che dal brano è stata tolta una frase che poteva chiarire il resto del testo. Lo stile che usa Platone è uno stile volutamente famigliare al quale i ragazzi non sono abituati. Inoltre il brano è eccezionalmente lungo. E’ vero, la conoscenza di quel periodo può avere aiutato gli studenti, ma Platone si fa nel secondo liceo, non nel terzo, mi chiedo perciò che cosa si saranno ricordati”.

Andando a cercare su Internet ho trovato questo bellissimo articolo, pubblicato (ovviamente in cartaceo) il  23 giugno 1987, cioè il giorno dopo la seconda prova dell’Esame di Maturità (allora si chiamava ancora così). Era uscito un passo di Platone, precisamente un passo della sua famosa VII Lettera. Leggo con piacere (ora che sono una prof. e quindi ho un punto di vista diverso da quello che potevo avere quando ero ancora una studentessa…) i diversi pareri di molti luminari della Classicità.

Ritrovo un grandissimo e ancora attivissimo faro degli studi classici, il Prof. Canfora, i cui libri di letteratura greca (e non solo…) sono da sempre uno strumento didattico prezioso per le mie lezioni. Rileggo (e mi sembra di sentirne l’intonazione, visto che ho avuto la fortuna di sentirlo parlare ad una bellissima conferenza IN LINGUA LATINA in cui non ho capito proprio tutto, lo confesso…) l’ineguagliabile Prof. Paratore, morto nel 2000, del cui manuale di Letteratura Latina (casa editrice Sansoni, Firenze) mi sono cibata per decenni e che devo avere ancora da qualche parte dentro casa. VEDO (nel senso letterale del termine) il mio ex prof. Serrao parlare di participi congiunti e anacoluti, ma soprattutto “difendere” gli studenti dall’infelice scelta del passo, troppo “alto” per le loro specificità e la loro età. Perché lui era così! Era sempre dalla parte dei ragazzi, anche quando era evidente che non avevano proprio approfondito lo studio di manuali, saggi, dispense e articoli assegnati per l’esame di Grammatica Greca da sostenere con lui! Sempre posato, sempre rispettoso, sempre “lento” (nel senso nobile del termine).

Anche per questo riusciva a farti innamorare della SUA materia, facendola diventare anche un po’ tua… E questa è una capacità non di tutti, ma solo dei Grandi Prof.!

Mitico Prof. Serrao! Grazie di quello che ci hai lasciato!