Necropoli

necropoli

“Necropoli” è un’autobiografia densa e sconvolgente di Boris Pahor, un sopravvissuto, che inizia il suo memoriale con la descrizione dettagliata di un suo “viaggio della memoria” nel luogo della sua sofferenza indelebile: il campo di concentramento di Natzweiler- Struthof sul Vosgi. Un nome meno famoso e meno “abusato” di quello di Auschwitz, d’accordo,  ma non per questo portatore di un diverso significato. Il linguaggio è crudo e non cede neanche per un attimo alla tentazione (pur lecita e comprensibile) dell’autocommiserazione. Questo rende la lettura ancora più “violenta” per noi lettori, comodi nelle nostre case (come avrebbe detto Primo Levi).

Sconvolgente, come notiamo spesso per altri memoriali scritti da reduci, anche a molti anni dal ritorno dal’Inferno (penso non solo a Primo Levi, ma anche a Sami Modiano), la precisione dei dettagli e dei particolari, evidentemente scolpite in modo indelebile nel cuore e nella mente di Boris.

Commovente il senso di “proprietà” rimasto al reduce Pahor, che quando inizia il viaggio descritto in questo libro afferma: “Lo ammetto, non riesco ad accettare fino in fondo l’idea che questo posto di montagna, cardine del mio mondo interiore, sia visitabile da chiunque; e soffro anche un po’ di gelosia: non soltanto perché occhi estranei percorrono uno scenario che fu testimone della nostra anonima prigionia, ma anche perché questi sguardi curiosi (…) non potranno mai penetrare nell’abisso di abiezione in cui fu gettata la nostra fiducia nella dignità umana e nella libertà personale”.

Sì,  perché un viaggio all’Inferno non può essere come un viaggio qualsiasi, che chiunque altro potrebbe “copiare” e ripetere.  Per usare un’immagine forte, è come riproporre su uno schermo l’immagine di uno stupro subito.

Noi non possiamo capire. Possiamo solo ascoltare in religioso silenzio le parole di chi ha vissuto tutto questo e toglierci il cappello, in segno di dovuto rispetto.

latineloqui69