SCUSATE IL DISTURBO

 

scusate

Vecchio, ti chiameranno vecchio, con tutta quella forza che c’è in te…” (Renato Zero)

Avete presente quando d’estate in televisione ci sono solo repliche su repliche e non sapete cosa vedere? Qualche sera fa, la mia scelta è caduta su quello che ritenevo “il meno peggio” (come si usa dire, con espressione sgrammaticata ma efficace) e mi sono buttata su quello che passava Rai Premium. Non sono mai stata una grandissima fan di Lino Banfi (pur riconoscendone bravura nella professione), quindi non ero granché convinta. Invece mi sono dovuta ricredere dopo meno di mezz’ora…

Scusate il disturbo” è una miniserie televisiva del 2009 per la regia di Luca Manfredi con Lino Banfi, Lino Toffolo e Luciano Nobile nei panni di uomini anziani, deboli e soli, alle prese con l’arrivo della “terribile vecchiaia” (come avrebbe detto Il poeta greco Mimnermo). Lino Banfi è Antonio, emigrato italiano in Argentina, dove ha lavorato come falegname, che all’improvviso vede la sua semplice ma tranquilla vita da vedovo e pensionato sconvolta dall’arrivo di un ciclone: il figlio (Blas Roca-Rey), affermato architetto ma momentaneamente in difficoltà, si reca da lui con moglie (Sara D’Amario) e figlio (Valentin Pauls) al seguito, chiedendogli ospitalità per qualche tempo in attesa che a casa sua finiscano i lavori di ristrutturazione. La realtà è un’altra, ma verrà alla luce solo pian piano. Nel frattempo, l’amico di una vita di Antonio, Peppino (un bravissimo Lino Toffolo), solo come lui, soffre sempre più spesso di strane dimenticanze, che alla fine lo costringono a ritirarsi in una casa di riposo, dove, non essendo solo, può affrontare la sua quotidianità in modo più tranquillo. Si tratta, infatti del terribile morbo di Alzheimer (“purtroppo non esiste una cura; provi ad immaginare un interruttore, che alterna momenti di luce a moneti di ombra; nel suo amico i momenti di luce sono sempre di meno e quelli di ombra diventeranno sempre di più”, cerca di spiegare ad Antonio il medico che visita Peppino), che gli fa dimenticare cose, persone, date, fatti, e lo porta a vivere in una condizione sempre più invalidante. Antonio affronta tutto questo con forza, coraggio e dignità: sbraita contro la convivenza forzata con figlio bugiardo, nuora impossibile e nipote adolescente ribelle, si fa in quattro per stare accanto all’amico sempre meno presente a sé stesso, cerca di rimettere in sesto la propria vita e quella degli altri che si fidano di lui e a lui si affidano.

Dal caos delle vicissitudini quotidiane sortisce un miglioramento dei rapporti con il figlio e con la nuora “saputella”, ma soprattutto un nuovo e stabile affetto: quello con il nipote, di cui Antonio diventa complice ma non troppo, maestro di vita e modello di comportamento. Lui che all’inizio agli occhi del ragazzo era sembrato scialbo, triste, antiquato dentro quella casa fatta di mobili vecchi, vestiti passati, foto sbiadite, orari e comportamenti di altri secoli, ora è non solo un modello da seguire (molto più del padre e della madre, che vivono una vita di bugie e inganni reciproci di cui lui è a conoscenza) ma una fonte di amore vero, un puntello, una sicurezza.

Luca Manfredi, dunque, complici la bravura di attori quali Lino Banfi e Lino Toffolo, affronta una questione spinosa e sempre viva: il “problema” della vecchiaia nella società dei nostri giorni, le difficoltà degli anziani a sopravvivere in un mondo che fa volentieri a meno di loro, scansandoli (è il caso della nuora di Antonio), dimenticandoli (è il caso del figlio), irridendoli (è il caso del nipote), salvo poi ricorrere a loro quando si tratta di averne un aiuto economico, dato che si trovano ad essere una categoria “privilegiata”, cioè quelli che, grazie al lavoro di una vita, percepiscono una pensione, magari misera ma certa. Paradossalmente, infatti, nella loro debolezza e indigenza, sono quei “portatori di garanzia” tanto richiesti dalle banche… Così diventano spesso facili prede di avvoltoi (il personale della casa di riposo, ad esempio) e ladri di ogni genere. Eppure, chi la lavorato per una vita, magari nelle difficili e disagiate condizioni di emigrante, sa quanto vale il denaro messo da parte con tanta fatica e tanti sacrifici (“io e tua nonna tiravamo la moneta per decidere se mangiare a pranzo o a cena”), quindi non lo butta via, ma sa usarlo nei momenti importanti: i 2500 pesos regalati al nipote Matteo, che pur di procurarsi del denaro per un viaggio per lui molto importante aveva rubato dai portafogli di padre e madre, sono un investimento prezioso e ferace, quindi Antonio non esita a farlo. Il fiume di soldi chiestigli invece dal figlio no, sono un prestito a fondo perduto che Antonio non può e non si sente di fare. E infatti il figlio riesce a trovare un’altra strada, magari più faticosa e tortuosa, ma che pian piano restituisce a lui e alla nuora (che si mette a “vendere magliette”, come dice con tono sprezzante di lei il marito) una condizione di vita perduta a causa di avventatezza e faciloneria. Alla fin fine, il figlio risulta più adulto dei suoi stessi genitori. Ed è tutto dire…

E attenzione al titolo, davvero significativo! A voi l’onore di scoprirne la vera valenza….

Meditiamo, gente, meditiamo…

(immagine e dati essenziali della trama tratti da wikipedia)