Augustea

“Quella casa avvelenata da rancori, gelosie, sete di potere, volontà di emergere a qualunque costo, non era una casa privata, ma il cuore dello Stato”

augustea

Un’immersione nella Romanità: non potrei trovare un’altra definizione adatta a qualificare appieno questo nuovo romanzo pseudostorico della scrittrice Elsa Flacco.

Dopo la fortunatissima “prima prova” con questo genere di romanzo (“Italico”: se non lo avete ancora letto potete trovarne una mia semplice presentazione qui: https://scuolaeculturaoggi.myblog.it/2022/09/27/italico/)la scrittrice guardiese ci conduce di nuovo per mano nella storia romana, spostando la linea temporale qualche anno più avanti.

Come per il romanzo precedente, in primis evidenzio l’originale e caratterizzante specificità della struttura narrativa: i ventidue capitoli delle tre parti di cui è costituito il libro hanno una sorta di titolo “secondario” a struttura ternaria (o poco più): Gallo/ Cecilia/ Pollione.  Questa trovata rende il romanzo una sorta di racconto a tre voci (quattro in un solo punto della storia, in cui un capitolo è intitolato a Vipsania Agrippina) e trasforma i vari capitoli in scene teatrali all’interno di tre grandi atti. La mia similitudine non è casuale: grazie a questa accortezza della scrittrice il lettore si sente come a teatro e assiste a vere e proprie scene teatrali alla maniera classica.

E sempre perché “squadra che vince non si cambia” anche in questo romanzo il titolo di ogni capitolo è un susseguirsi di luoghi e date, che creano una sorta di cornice narrativa imprescindibile per seguire il corso degli eventi, che rispetto al precedente romanzo risultano molto più intricati (e intriganti!), forse a causa della complessità della gens Giulio-Claudia, di cui – non  a caso – è presentata all’inizio una preziosa e imprescindibile genealogia.

Come specifica la stessa autrice nelle Note finali, anche in questo secondo romanzo ambientato a Roma si è “tenuta aderente ai fatti storici come li conosciamo dalle fonti. Ai due protagonisti del romanzo precedente se ne aggiunge un terzo, il giovane Asinio Gallo figlio di Pollione, ma occupano un posto importante anche personaggi che hanno lasciato il segno nella storia di Roma e oltre, come Agrippa e Mecenate, Livia e Tiberio, e, come in “Italico”, i poeti, da Orazio a Virgilio a Tibullo ad Ovidio: intorno, una folla di personaggi, più o meno noti o addirittura ignoti o inventati, così come vanno immaginati i sentimenti, i conflitti, i discorsi, le azioni quotidiane in un mondo lontano dal nostro eppure in un certo senso così simile, nei moventi e nelle immutabili passioni”. Tutto, dunque, secondo “il criterio sovrano della verosimiglianza” di manzoniana memoria.

Quello che colpisce, rispetto al romanzo precedente, è la preponderanza della figura femminile: molte sono le donne presenti, alcune delle quali molto attive e molto “forti”. Una per tutte? Forse la meno “importante” a livello storico: Filenide (della quale non vi rivelerò i dettagli caratterizzanti).

E poi, last but not least, un elemento “da prof” che non poteva mancare: la Poesia (la maiuscola iniziale non è un errore di digitazione!). Nel testo narrativo si incastonano alla perfezione decine e decine di versi dei bellissimi poeti augustei succitati: sono in traduzione d’autore (immagino anche e soprattutto per un fatto di fruibilità), ma è impossibile non leggervi dietro la bellezza del testo latino! La citazione più bella? Quella dell’explicit, ovviamente! 😉

Insomma, un bellissimo e “avvolgente” romanzo che ci emoziona, ci intriga, ci avvince e ci trascina dentro il contesto storico (non semplicissimo, per chi non lo ha studiato in profondità come l’autrice), che i libri di storia spesso ci sintetizzano (semplicisticamente) con la formula del “principato augusteo”, senza spiegarci BENE cosa fosse un principato: tecnicamente palando si trattava del il governo di un princeps, un primus inter pares, il princeps senatus. Ma in  sostanza? Era un re? Giammai! Un imperatore? Più o meno. Un sovrano illuminato ante litteram? Questo – forse- era quello che Ottaviano, diventato Augusto (e tanti altri appellativi onorifici) senza colpo ferire, voleva dare ad intendere. In realtà il suo era pur sempre un governo personale, con tutti i suoi difetti! In primis, quello di aver distrutto la libertas repubblicana, dando ad intendere di averla preservata.

Aveva dunque ragione Cecilia (alter ego dell’autrice?) quando esclamava con nostalgia: “La guerra civile era una brutta cosa, ma non c’era scritto da nessuna parte che l’alternativa fosse solo la tirannide. C’erano stati tempi senza guerre e senza padroni, quelli della res publica con tutte le sue ingiustizie, i conflitti, ma viva! Quando era possibile combattere nell’arena politica, assistere a scontri memorabili nel foro, parteggiare, che bella parola…” (pag. 273).

E tutti noi siamo con Cecilia. Anzi, forse, siamo tutti Cecilia!

A voi scoprire il motivo di questa affermazione, leggendo questo imperdibile libro.

All’autrice un enorme grazie di questa prova letteraria che trasuda amore vero e puro per la Romanità! ♥