Il paraklausithyron

Il  paraklausithyron nella letteratura greca e latina

 

Cos’era il paraklausithyron, al quale i manuali di letteratura greca e latina dedicano, nel migliore dei casi, qualche riga per un brevissimo accenno? Facciamola semplice, pur senza banalizzare: si trattava dell’antenato della nostra “serenata”, quell’usanza (ormai folkloristica e sempre più in disuso) dell’innamorato (non sempre contraccambiato) di cantare sotto il “balcone” dell’amata per  dichiararle il proprio amore. Avete presente il famoso Jovanotti in “Serenata rap”? Sì, proprio una situazione simile a quella.

Nel mondo classico, il paraklausithyron  (letteralmente: canto davanti alla porta chiusa dell’amata) era un motivo popolare che, diffuso a livello folkloristico, ben presto entrò nella letteratura, costituendo un tema particolarmente adatto alle composizioni d’amore: l’epigramma nel mondo greco, l’elegia nel mondo romano.

Limitato inizialmente a “formule” di tono lamentoso, esprimenti la richiesta di “entrare in casa” rivolta dall’innamorato “escluso” sulla soglia di casa ad una non meglio precisata donna amata, il paraklausithyron andò pian piano arricchendosi nell’intreccio, poiché confluirono in esso motivi dell’elegia d’amore tout court.

Esso mantenne, tuttavia, fissi e immutati alcuni elementi caratterizzanti:

1)       la figura dell’exclusus amator; 

2)       la presenza dell’amato/a ritroso/a;

3)       l’ambiente appropriato, generalmente una via cittadina sulla quale si affaccia la porta chiusa dell’amata;

4)       il festoso clima post- simposiaco: l’innamorato è ubriaco, indossa una ghirlanda di fiori e proviene da un komos (corteo di giovani);

5)       le pessime condizioni atmosferiche, che accrescono il disagio dell’innamorato escluso, che deve passare la notte sulla soglia (koimesis);

6)       le azioni rituali dell’innamorato: egli bacia la soglia, la unge di profumi, attacca la ghirlanda di fiori agli stipiti della porta, lascia un’iscrizione sul muro;

7)       l’ultimo tentativo di persuasione rappresentato dal canto lamentoso (il paraklausithyron propriamente detto), con il quale l’innamorato di muovere a pietà l’amata ritrosa. La struttura di questo canto, inoltre, era (e doveva essere) costante:

a)       apostrofe all’amata, accompagnata da appellativi vezzeggiativi e similitudini affettive;

b)       preghiera di aprire la porta;

c)       accuse di crudeltà alla donna amata e talora “rimbrotti” per i benefici a lei accordati in passato;

d)       lamento dell’exclusus amator sul proprio stato di sofferenza;

e)       tentativi di captatio benevolentiae con promesse e vanto delle proprie qualità (ma talora l’innamorato, rilevando le proprie caratteristiche fisiche non piacevoli, ne soffre alquanto);

f)        appello ad una divinità, che procuri a lui in futuro una piccola “vendetta” consolatoria;

g)       menzione del rivale e talora sua descrizione denigratoria;

h)       l’estemo tentativo di persuasione: l’innamorato annuncia la koimesis, minaccia di andarsene o di suicidarsi e ricorda l’inesorabilità della vecchiaia e la caducità della giovinezza e delle gioie dell’amore.

Alcuni poeti, mantenendo sempre una “spia” connotante, trasferivano la scena in campagna, in riva al mare o nei boschi, immaginavano che il lamento fosse rivolto non all’amata, bensì alla porta o al portinaio e variavano la conclusione, che era talora romantica (la lunga attesa sulla porta), talora “macabra” (il suicidio dell’innamorato sulla porta), talora comica (alcune vicissitudini occorse al malcapitato innamorato).

Furono proprio queste varianti a far sì che il motivo della serenata, sebbene in forma sempre più stilizzata e mantenendo soltanto luogo, scopo e tono dell’antica usanza, attraversasse i secoli e giungesse fino a noi, per rappresentare un simbolo d’amore, se non addirittura il gesto “romantico” per antonomasia.

 

Affascinante, no?

Per me sicuramente, e tanto! 😉

latineloqui69