Le valigie di Auschwitz

Il battello a vapore, Serie arancio, 9+

Il battello a vapore, Serie arancio, 9+

Cominciamo col dire che si tratta davvero di un libro per tutti. L’ho ordinato senza notare la specifica “Libri ad alta leggibilità”, ma quando mi sono resa conto che le sue caratteristiche grafiche e di impaginazione (che favoriscono la leggibilità e che lo rendono accessibile anche ai bambini con DSA e BES) lo rendevano ancora più fruibile e gradevole da affrontare me ne sono rallegrata non poco… L’autrice è la bravissima Daniela Palumbo ben nota per il libro “La memoria rende liberi”, steso a quattro mani con la senatrice Liliana Segre. Il tema è sempre quello: la Memoria. La struttura, tuttavia, lo rende maggiormente adatto ad un pubblico di bambini o adolescenti, come ci indica sin da principio la casa editrice (ben nota a chiunque abbia o abbia avuto figli in età scolare) e la serie di “catalogazione”.

La storia parte dunque da un’immagine: quella della valigia. Un accessorio scontato ai nostri giorni, legato nell’immaginario o nel vissuto degli adulti ad un viaggio di lavoro o di piacere, in quello dei bambini all’estete e alle sospirate vacanze con genitori, parenti, amici. E invece no. Negli anni Quaranta del Novecento questo accessorio era altro: perché “c’è stato un tempo in cui i bambini venivano costretti a partire con una valigia riempita in fretta, per una destinazione che non conoscevano, e non facevano ritorno a casa”. Come spiegare a bambini e adolescenti dei nostri giorni una simile esperienza, lontana dal loro vissuto quotidiano? Parlando al loro cuore, riportando loro esperienze di loro coetanei “meno fortunati”, per usare un eufemismo…  Ecco perché l’autrice, che pubblica libri per ragazzi dal 1998, ha l’idea di presentare le storie (strutturalmente consecutive, ma a ben vedere anche parallele, in fondo) di quattro ragazzini di quattro Paesi diversi ma non troppo, che, in conseguenza delle ben note leggi razziali, vivono sulla loro pelle l’orrore dello sradicamento e della  deportazione: Carlo (Italia), che adora guardare i treni e decide di usarli come nascondiglio; Hannah (Germania), che da quando hanno portato via suo fratello Jacob, colpevole solo di non essere “normale” passa le notti a contare le stelle; Émeline (Francia), che non vuole la stella gialla cucita sul cappotto e si ribella, a suo modo; Dawid (Polonia), in fuga dal ghetto di Varsavia con il suo violino e un amico improvvisato. Storie di bambini innocenti, strappati alla loro vita quotidiana e alla normalità. Storie di bambini strappati alle famiglie senza un motivo reale. Storie di bambini scampati per miracolo/destino/casualità a retate feroci ma proprio per questo cresciuti troppo presto, violati nella loro fanciullezza, sbattuti nella vita del sopravvissuto, fatta di solitudine, silenzio, rifiuto, distanza. Storie di bambini per i quali non possiamo non provare empatia, catartico coinvolgimento. Storie che non possiamo non associare, per una sorta di moto involontario della mente, a quelle dei numerosi profughi dei nostri giorni. Ma questa “è un’altra storia…”.

E la narrazione parte proprio dal Luogo della Memoria per antonomasia: Auschwitz, e precisamente “la stanza numero 4 del blocco 5”, in cui “c’è un lungo vetro che separa il visitatore da migliaia di valigie ammassate l’una sull’altra. Una montagna di borse vuote, tutte diverse: vecchie, rotte, strette, larghe, rattoppate, di cartone, eleganti, di stoffa, di pelle….”. Ognuna con un nome, un cognome e un indirizzo, tragico e inutile legame con l’ignaro proprietario.

Migliaia di valigie= migliaia di vite. Come nel ben noto capolavoro di Ciro Pinto, “Gli occhiali di Sara”, qui un oggetto rappresenta per tragica e feroce metonimia delle persone. Vite spezzate. Umani che non ci sono più, morti “per la sola colpa di esser nati”, per citare un’espressione tanto cara alla senatrice Liliana Segre. Valigie preparate in fretta e furia, senza neppure sapere esattamente cosa metterci dentro. Perché, del resto “come fai a preparare una valigia se non sai dove stai andando? Non puoi sapere ciò che ti occorrerà”.

Le illustrazioni di Clara Battello arricchiscono non poco l’efficacissima narrazione.

Consigliabilissimo, ma NON SOLO per i destinatari per cui è stato pensato!

E ricordiamo sempre il monito di Goti Bauer, “scolpito” non  a caso in esergo sul libro: “Auschwitz è sempre dentro di noi. Io non ho mai smesso di ricordare quanto è accaduto. All’inizio ho tentato di raccontare, ma ho smesso subito. Il nostro più grande desiderio, il nostro bisogno era dire a tutti quello che ci era successo, ma ci siamo subito accorti che la gente non voleva ascoltare e soprattutto non poteva credere”.

Meditiamo sempre, gente, meditiamo!