Gli occhiali di Sara

“Auschwitz, terzo blocco. Occhiali, tantissimi occhiali, un cumulo enorme”

Tutto comincia con un appuntamento che ha del misterioso: un uomo inganna il tempo ad un tavolino, aspettando l’arrivo di una vecchia signora che gli vuole parlare di una strana questione. “Una bufala, pensò, eppure era lì ad aspettare come a voler provare a se stesso che era tutto uno scherzo”. Eppure non è uno scherzo: le prove sono chiare e tangibili, sicché all’improvviso vengono meno tutti i pilastri della vita del protagonista, Enrico Fontana, romano e benestante, che durante un soggiorno a Praga ha la ventura di incontrare Elisheva Kundrova, un’anziana ebrea sopravvissuta ad Auschwitz e all’Olocausto. Figlio di un gerarca fascista, ucciso dai partigiani sulla via Tiburtina mentre cercava di raggiungere i nazisti a Perugia alla volta di Salò, e di una donna illuminata della borghesia romana, morta due anni prima, Enrico era arrivato alla soglia dei cinquant’anni vivendo di rendita e spendendo la sua esistenza tra casinò, viaggi di piacere e donne giovani e disponibili. Ma da quel giorno la sua vita cambia: non solo “a causa” dei lunghi monologhi di Elisheva, che riportano con precisione incredibile i racconti aberranti della deportazione e dell’internamento, ma anche grazie alla figura di Judita, la pronipote dell’anziana sopravvissuta, giovane impiegata dell’albergo dove lui soggiorna a Praga, il “gancio” della storia. Apparentemente una donna per lui poco interessante e ben lontana (fisicamente, caratterialmente, psicologicamente) dal tipo di donna da cui egli si fa accompagnare, come Rebecca. Il racconto della triste vicenda di Sara e la figura di Judita lavorano su Enrico in modo costante e parallelo, scatenando in lui una profonda crisi psicologica che lo porterà, non senza profondo dolore e forte disagio personale, a riconsiderare tutta la sua filosofia di vita. Alla fine, compiuto tutto il doloroso percorso a ritroso, egli si ritroverà un uomo nuovo e si riconcilierà con se stesso.

Il romanzo, che ha vinto  nel 2014 la IXa Edizione del Premio Letterario Nabokov, sezione narrativa inedita, ha dunque dello strabiliante a livello narrativo e psicologico. Non si tratta del ”solito” romanzo sulla Shoah, fidatevi. Si tratta semmai, di un libro sulla Storia del Novecento (quella devastante della Seconda Guerra Mondiale, dell’Olocausto, della Resistenza, delle morti) e di un romanzo sulla Vita, sulla casualità (la greca τὐχη o, se preferite, l’ellenistico καιρὀς…) come regina delle nostre fragili esistenze.

A libro finito (e vi assicuro che la lettura scorre veloce, nonostante la pesantezza del tema trattato e la difficoltà di relazionarsi con molti termini cechi…), la frase che resta nel nostro animo a rimbombare nel silenzio dell’incredulità è una delle più intense pronunciate dall’anziana signora: “Dal giorno in cui sono uscita da Auschwitz, ridotta ad una larva umana, non sono mai riuscita a liberare il cuore dal filo spinato dei recinti di quel campo”. Come non ci sono riusciti la senatrice Liliana Segre, Sami Modiano e i tanti sopravvissuti che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare almeno una volta nella vita. Come non ci è riuscito – soprattutto- Primo Levi.

 

Gli occhiali di Sara