Futuro interiore

 

futuro interiore

 

Lo confesso: abituata com’ero a leggere libri più “leggeri” della bravissima scrittrice sarda, la lettura delle prime pagine di Futuro interiore mi ha preso in contropiede: mi aspettavo una riflessione antropologica, sociale e filosofica, ma non a questi livelli! Non immaginate, dunque, un libello alla J’accuse come Il mondo deve sapere o una “favola bella” come altre opere della Murgia, ma preparatevi ad una bella dissertazione di alto livello.

L’opera parla della generazione degli anni Settanta, che, figlia dei baby boomers e madre dei nativi digitali, è ammarata nel mezzo di due fondamentali cambiamenti paradigmatici, uno sociale e uno tecnologico, e ancora fatica a trovare una dimensione storica. Esiliati dai simboli ideologici e giunti ai linguaggi tecnologici come adulti con una lingua straniera (sono i cosiddetti “immigrati digitali”), i quarantenni di oggi hanno “mancato il tempo di ogni rivoluzione” e  ora abitano il proprio presente con la sensazione di non potervi risiedere a pieno titolo.

A livello formale ed espressivo, si tratta di un discorso, un’orazione lungimirante e politicamente ben schierata che affronta questioni importanti  come cittadinanza e democrazia, ius sanguinis e ius soli, centro e periferia (anche in senso urbanistico e architettonico), estetica ed etica, Europa ed Europeismo, identità e xenofobia, potere e masse.

Tante le ipotesi di soluzione della deriva cui sta arrivando la società moderna, sempre più “ingoiata” in crisi economiche e conseguenti  guerre tra poveri, affascinanti populismi e nostalgici titanismi razziali: tra queste la Murgia insiste soprattutto sul multiculturalismo del Canada, dove l’integrazione sembra proporsi secondo il principio di  un’identità collettiva (ius voluntatis), che aiuta a  superare l’antica idea di cittadinanza legata al sangue o al suolo e trasforma miracolosamente la diversità in valore, spegnendo così il livello di conflitto, che invece ai nostri giorni continua a crescere, anche grazie a chi soffia quotidianamente sul fuoco della povertà materiale e della mancata realizzazione personale.

Per cambiare in meglio -conclude la scrittrice di Cabras- bisognerebbe affidarsi a Capitani contagiosi in grado di convincere la maggioranza a mutare i sistemi di potere gerarchici su cui si basano le vecchie società democratiche del Novecento, scegliendo di  essere “potenti insieme, anziché l’uno contro l’altro”.

Troppo utopistico? Per poterlo “cassare” bisognerebbe provare…

Intanto, a noi “semplici” lettori resta questa bella analisi sociologica, dal sapore agrodolce per gli ultraquarantenni come la sottoscritta, ma dal titolo ottimistico, che lascia intendere una speranza:  sognare- nonostante tutto- un futuro meno nero del presente. Un futuro interiore.

latineloqui69