Antigone

“Pochi impuniti danno ai molti licenza”

Che le tragedie alfieriane non siano un’opera per tutti lo sapevamo. Quindi andavamo preparati ad una prova molto impegnativa. Ma che potessimo rimanere così toccati dalla potenza catartica della rappresentazione non lo avevamo messo in conto.

Sarà stato per le scelte significative del regista (che a fine rappresentazione ce ne ha spiegate meticolosamente alcune, come la scelta di mettere al centro della scena finale, quella con maggiore tensione tragica, una sedia a rotelle…) oppure per la bravura degli attori o per la loro potenza espressiva, nonché fonica, visto che tutti gli atti sono stati un seguito di dialoghi urlati, monologhi strillati, persino monologhi interiori gridati. Fatto sta che l’applauso finale era più che liberatorio.

I ragazzi cui abbiamo deciso di proporre l’attivita didattica sono stati attentissimi, nonostante la complessità espositiva. E ci può stare che durante il primo atto uno di loro (non riveleremo il nome, ovviamente…) abbia chiesto al suo vicino: “Ma in che lingua è?”. Del resto, se è difficile seguire la prosa manzoniana del loro “programma”, figuriamoci che impressione può fare quello alfieriano, aulico e solenne, in endecasillabi pieni di arcaismi lessicali e sintattici!

Ma nonostante la difficoltà a seguire passo passo tutti i dialoghi (alcuni sono sfuggiti persino a me, che un po’ di Alfieri posso dire di averlo letto/ studiato/ spiegato in classe…) era impossibile non godersi la matrice sofoclea della trama! In questo arrivavamo preparati, perché le nostre classi avevano letto e commentato in classe l’Antigone di Sofocle! Quindi era loro ben noto il nodo centrale della vicenda: la vicenda di Edipo e dei suoi figli, la storia dei Sette contro Tebe, la figura dell’eroina Antigone, la contrapposizione tra leggi scritte  leggi non scritte, la figura del tiranno usurpatore Creonte, la figura di Emone, giovane innamorato e figlio “degenere”.

In più, in questa rappresentazione erano inseriti alcuni temi di matrice prettamente alfieriana, che erano presenti in Sofocle ma non in modo così evidente: il sentimento calpestato, utilizzato, soffocato, al servizio delle necessità di Tebe e strumentalmente utilizzato dal tiranno,  il concetto stesso di “tirannide”, così caro all’Alfieri, la fredda logica della ragion di Stato ma anche la personale sete di potere, dèi ai quali tutto si può sacrificare, persino il proprio figlio.

Il regista ci ha tenuto a precisare che la loro è una vera e propria opera sulla violenza alle donne: violenza sociale, psicologica, morale, fisica. Ha anche aggiunto che essa ha visto la luce tanti anni fa, quando ancora la figura di Antigone (pur essendo nota ai cultori della Classicità) non era conosciuta ai più, laddove ora è sin troppo abusata, dato che viene utilizzata ogniqualvolta una donna si fa conoscere per azioni politiche/sociali/economiche (persino ecologiche) eclatanti. Non possiamo che concordare con lui e sicuramente la scena più forte è stata quella in cui abbiamo realizzato che Antigone si sarebbe uccisa con un cappio, ma ci sentiamo di evidenziare il fatto che (nonostante il titolo) il vero protagonista indiscusso è Creonte: un vero gigante, dal punto di vista scenico, espressivo, di trama. Un orrendo Tiranno che solo alla fine -rimasto solo- si renderà conto delle conseguenze della sua folle e insaziabile sete di potere. Forse perché qui manca Ismene,  sostituita dalla cognata Argìa – mi hanno fatto notare i miei studenti. E potrebbero aver ragione! Quella  figura sofoclea era funzionale a far spiccare Antigone tramite la ben nota “tecnica dei contrasti”, quindi, eliminata quella, il focus della tragedia si sbilancia e si sposta tutto sulla figura di Creonte!

Forse era proprio quello che Alfieri voleva fare, no?

Bravi, ragazzi! Sono fiera di voi!