Il giovane favoloso

 

leopardi“Io non voglio vivere qui in Recanati!”

“Il giovane favoloso” è un film del 2014 per la regia di Mario Martone, con Elio Germano (Giacomo Leopardi), Michele Riondino (Michele Ranieri), Massimo Popolizio (il conte Monaldo), Isabella Ragonese (Paolina Leopardi), Valerio Binasco (Pietro Giordani), Edoardo Natoli (Carlo Leopardi), Federica De Cola (Paolina Ranieri) e Raffaella Giordano (Adelaide Antici).

Premiato nel 2015 con il David di Donatello per Miglior attore protagonista (e non solo…), con il Nastro d’Argento come Film dell’anno, con il Globo d’oro e il Ciak d’oro come Miglior film, pluripremiato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2014, il film (biografico, storico e drammatico) ci presenta un Giacomo Leopardi come ce lo siamo sempre immaginato, ma è anche una preziosa occasione per un riascolto delle sue poesie più belle e significative. Sopra tutte, la declamazione dell’Infinito sul suggestivo Monte Tabor e quella della Ginestra nello “spettacolare” scenario dell’eruzione del Vesuvio.

Toccanti e angoscianti, come probabilmente dovevano essere nella realtà, le scene al chiuso di casa Leopardi, con i tre figli intenti a studiare nella preziosissima biblioteca paterna di più di 20.000 volumi sotto la vigile sorveglianza del padre-tiranno, ma ancora più “patetiche” quelle finali, nel chiuso di Villa Carafa-Ferrigni, divenuta poi Villa delle Ginestre, alle pendici del Vesuvio, dove assistiamo impotenti all’aggravarsi della malattia di Giacomo e alle amorose cure di Michele Ranieri e di sua sorella Paolina Ranieri (una sempre più brava Federica De Cola).

Il film non indulge ad eccessivi sentimentalismi sugli amori infelici (e solitari) di Giacomo, ma si incentra di più sul suo rapporto con il padre e sul suo rapporto con la vita. Ci saremmo aspettati maggiore attenzione sulle figure di Silvia (Gloria Ghergo) e Fanny Targioni Tozzetti (Anna Mouglalis) e invece no: pur essendo presenti nella trama, come era normale che fosse, l’intento di Martone è un altro, cioè quello di presentarci Giacomo come uomo sofferente nel fisico e nell’anima più che nel cuore.

Ottimamente riuscita, a mio modesto avviso, probabilmente per la straordinaria bravura dell’attrice Isabella Ragonese, la figura di Paolina Leopardi, che – per quanto i libri di letteratura non la citino- fu una scrittrice e traduttrice italiana, autrice di diverse traduzioni dal francese e di una biografia di Mozart.

Significativa, nel bilancio degli equilibri familiari, anche la figura di Carlo Leopardi, anche qui forse per l’incontestabile bravura dell’attore Edoardo Natoli (che per me resterà sempre “il fratello di Peppino Impastato ne I 100 passi”, cui Martone ha affidato anche la realizzazione del documentario-backstage del film.

Bravissimo (e senza necessità di presentazioni) Massimo Popolizio nei panni del padre Monaldo: impositivo, tirannico, freddo, volitivo, teneramente attaccato a quel figlio così debole e “favoloso” allo stesso tempo, ma non abbastanza fiducioso nella sua possibilità di farcela da solo, fuori da quel “borgo selvaggio” che stava tanto stretto al suo Giacomo e al suo genio.

Strepitoso Michele Riondino (per me “Il giovane Montalbano”) nella sua funzione di amico del cuore di Giacomo: attento, amorevole, presente, un vero Amico.

E ultimo, ma non ultimo, Elio Germano: che dire della su impareggiabile bravura? Non solo è riuscito a rappresentare al meglio la figura del poeta sofferente nel fisico, morto a soli 39 anni di edema polmonare e scompenso cardiaco causati dalla sua gravissima patologia (probabilmente la malattia di Pott o la spondilite anchilosante, con grave deformità spinale, e accompagnata da problemi visivi e gastro-intestinali), ma ci ha declamato con pathos perfetto alcune pagine di poesia universalmente note, come se fosse sul palco di un teatro e non dietro una “semplice” macchina da presa!

In sostanza, un VERO capolavoro, che merita appieno tutti i riconoscimenti che ha avuto e che emoziona ogni volta che lo si vede e rivede: ero alla mia terza visione e ogni volta ne sono rimasta colpita come la prima volta. Vorrà pur dire qualcosa, no?