Conversazione in Sicilia

Conversazione in Sicilia è un’opera letteraria di Elio Vittorini,  pubblicata a puntate dalla rivista letteraria Letteratura nel biennio 1938-1939, poi in un unico volume intitolato Nome e lagrime (per le edizioni Parenti) e finalmente come Conversazione in Sicilia per la Bompiani nel 1941.

sicilia

Il romanzo si presenta al lettore come un viaggio di un uomo a ritorno nella sua terra natìa. L’identità del viaggiatore è incerta, ma è lo stesso autore ad avvisare che il racconto non è autobiografico. Inoltre, la stessa Sicilia che Vittorini descrive «è solo per avventura Sicilia; perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela.».  Il romanzo si compone di cinque parti e l’epilogo, per un totale di 49 capitoli.

Il protagonista è Silvestro Ferrauto, intellettuale e tipografo, che vive a Milano da 15 anni. È figlio di Costantino (impiegato delle ferrovie) e Concezione, che ha lasciato quando aveva 15 anni per tentare di trovare lavoro al Nord Italia. Quando riceve la lettera di suo padre che gli annuncia di aver lasciato la moglie per andare a Venezia con un’altra donna, si decide a tornare al suo paese in coincidenza dell’onomastico della madre. Prende il treno senza avvisare e torna nella sua isola.

Durante il viaggio, Silvestro incontra alcuni personaggi che lo colpiscono particolarmente. Sul traghetto che lo porta da Villa San Giovanni a Messina, conosce un piccolo siciliano disperato con una moglie bambina, che lo scambia per americano e gli offre delle arance. Sul treno che lo porta a Siracusa, incrocia un uomo in cerca di doveri più grandi, che chiama Gran Lombardo (di chiara reminiscenza dantesca: Dante, Paradiso XVII, vv. 70 – 72), un vecchio, un catanese e un ragazzo malato di malaria. Conosce poi due poliziotti, denominati dal protagonista Senza Baffi e Con Baffi, disprezzati dagli occupanti siciliani del vagone. Lasciato Senza Baffi a Siracusa, Silvestro prosegue il suo viaggio su un treno della ferrovia secondaria, si ferma a dormire a Vizzini e infine giunge nel paese di sua madre. Dopo averla ritrovata percorrendo la strada solo grazie alla sua memoria, pranza con lei e intraprende una discussione lenta e ripetitiva, in cui entrambi ricordano la vita nelle case cantoniere. Silvestro sembra ricordarsi un passato felice, mentre Concezione gli ricorda spesso la miseria in cui vivevano. Insieme pranzano con una sola aringa e mangiando continuano a discutere; il tono tra i due sembra semplice e quasi “distaccato”. Il dialogo tocca anche il padre, colpevole di averla tradita tante volte e di essere stato un buono a nulla, e il nonno, un grand’uomo che Concezione ammirava molto. Silvestro paragona il nonno al Gran Lombardo, in cerca di qualcosa di più, anche se non lo ricorda bene. Dopo essere stata lasciata da Costantino, Concezione lavora facendo iniezioni ai malati del paese, che hanno un po’ di malaria e un po’ di tisi e vivono quasi tutti nella povertà più assoluta. Incontra così i personaggi cardine dell’ultima parte. Inizialmente l’arrotino Calogero, che sostiene che nessuno ha più coltelli da affilare e si rallegra del temperino che Silvestro ha con sé. Calogero lo porta così dall’uomo Ezechiele, che gli racconta di come il mondo sia offeso. Il trio si sposta poi dal panniere (venditore di stoffe) Porfirio e infine alla bottega di Colombo, dove bevono alcuni bicchieri di vino. Lasciata la compagnia, Silvestro va da solo in via Belle Signore, dove incontra un soldato che rimane nell’ombra per non farsi vedere. I due si mettono a discutere al cimitero e il soldato gli confessa che si ricorda di quand’era piccolo, mentre giocava con il fratello Silvestro. Il soldato inoltre, prima di scomparire, dice metaforicamente di trovarsi da trenta giorni su un campo di battaglia innevato. La mattina dopo, la madre di Silvestro gli dice che si è ubriacato la sera prima ed è tornato a casa tardi. Contemporaneamente, riceve la lettera che gli annuncia la morte del fratello Liborio in guerra. Silvestro e Concezione discutono un po’ sulla gioia che dovrebbe provare lei per la morte di un figlio sul campo di battaglia: è un onore per la patria. L’uomo le annuncia anche che sarebbe ripartito in giornata. Silvestro poi esce e si mette a piangere, fermandosi davanti alla statua dedicata ai caduti e circondato da tutte le persone che ha incontrato nel suo viaggio. Infine, dopo esser tornato a casa, nota la madre tesa a lavare i piedi ad un uomo inizialmente non riconosciuto dal protagonista: è il padre. Sconcertato, Silvestro si accorge che è ora di ripartire ed esce silenziosamente di casa ignorando la presenza del padre, che lui neanche saluta.

È possibile leggere l’opera con due diverse chiavi di lettura: la prima è quella nel segno dell’allucinazione, del sogno. Questa via spiegherebbe l’assenza di un vero filo rosso che accomuni i vari incontri del protagonista, i dialoghi estenuanti e ripetitivi, le situazioni finora estranee al panorama letterario italiano – si pensi alla serie di punture effettuato dalla madre del protagonista. Questa interpretazione giustificherebbe anche il tono decisamente bizzarro e inconsueto della narrazione: ad esempio nella parte quarta i protagonisti ripetono incessantemente di “soffrire per il mondo offeso”. Inoltre così troverebbe un senso anche il surreale e inverosimile ritorno nel finale di tutti i personaggi incontrati nel corso della storia, subito dopo il dialogo col fantasma del fratello morto in guerra.

Un’altra possibile interpretazione – ed è questa la più in auge per la critica – legge l’intera opera in chiave simbolica, quasi allegorica. Vittorini, per non incorrere nella censura del regime mussoliniano – il libro viene pubblicato nel 1941 -, avrebbe mascherato le sue reali intenzioni antifasciste dietro un romanzo i cui personaggi e dialoghi hanno un significato che va oltre l’apparenza.

L’arrotino che cerca lame e coltelli, ma non ne trova presso la gente, simboleggia il rivoluzionario che cerca di agitare il popolo, ma nessuno vuole reagire perché tutti fanno finta di niente di fronte alle violenze. L’uomo Ezechiele, i cui occhi madidi sembrano implorare pietà per il mondo offeso, sta ad indicare la filosofia consolatoria. Porfirio, il venditore di stoffe, è la cultura cattolica che, al posto dell’offesa inferta dalle forbici, propugna l’azione dell’Acqua viva. I tre rappresentano gli sforzi di chi cerca in ogni modo di opporsi al regime, ma non vi riesce a causa dell’indifferenza comune. E infine l’oste Colombo che rappresenta l’intellettuale di regime impudico e banditesco.

In questa prospettiva i due passeggeri altezzosi del treno: Coi Baffi e Senza Baffi, che sono due poliziotti siciliani, impiegati al nord e che, pertanto vengono disprezzati dagli altri occupanti del vagone ferroviario, rappresentano il perbenismo menefreghista di chi si è fatto o crede di essersi fatto borghese, di chi ha tradito la classe dei poveri che lo circondano. Ed è proprio questo infischiarsene e disprezzare che provoca ironica ilarità nel quartetto di personaggi che il protagonista incontra più tardi: il Gran Lombardo che aspira ad una nuova moralità, il vecchietto col suo ghigno sarcastico e gli altri due giovani nello scompartimento.

Gli umili che l’autore descrive non sono più solo specchio della Sicilia povera e arretrata, già oggetto di analisi da parte dei veristi; ma di tutti i prevaricati di ogni tempo ed ogni luogo, di quelli che soffrono e proprio per questo sono più umani degli altri.

Nell’opera è presente inoltre il motivo del viaggio: esso è infatti un pretesto, o meglio artificio, per introdurre, per mezzo delle voci dei personaggi, situazioni ed idee dell’autore. Viaggiare non è solo un’occasione per registrare nuove sensazioni, ma il tramite per recuperare una dimensione umana ovvero per recuperare la propria identità.

Vi è inoltre la celebrazione chiara della vitalità della madre, che non si lascia abbattere dall’abbandono del coniuge, anzi si adopera per sbarcare il lunario con ogni espediente e  critica senza rimpianto il marito donnaiolo e vigliacco: una donna- simbolo, insomma.

Una particolarità è l’utilizzo delle immagini realizzate dal pittore palermitano Renato Guttuso e dal fotografo Luigi Crocenzi, che hanno dato vita all’edizione illustrata del 1950.

(Liberamente tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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