Introduzione alla rubrica #unaterzinaalgiorno

Numeri essenziali della Divina Commedia 

andro Botticelli, Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata

Sandro Botticelli, Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata

 

Prima di iniziare il lavoro di citazione della rubrica #unaterzinaalgiorno è sicuramente opportuno “dare i numeri”, ovvero fare una breve sintesi della struttura interna della Commedia dantesca (che non a  caso il grande Boccaccio definì “Divina”!).

La Comedìa, o Commedia, conosciuta soprattutto come Divina Commedia, è un poema allegorico-didascalico in lingua volgare fiorentina.

Composta secondo i critici tra il 1304/07 e il 1321, anni dell’esilio di Dante in Lunigiana e Romagna, la Commedia è il capolavoro del Sommo Poeta ed è universalmente ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo.

Come è noto a tutti, il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium mentis in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell’oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.

È stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle» (Inferno: “E quindi uscimmo a riveder le stelle“; Purgatorio: “Puro e disposto a salire a le stelle“; Paradiso: “L’amor che move il sole e l’altre stelle“).

A livello strutturale, il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l’Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale) formati da un numero variabile di versi, fra 115 e 160, strutturati in terzine.  In questo modo le  tre cantiche comprendono dunque un totale di 100 canti. 

Come si può notare, l’opera è impostata sulla simbologia cristiana del numero 3 (Padre, Figlio e Spirito Santo, ovvero la Trinità) e dei suoi multipli, dell’1 (Dio unico) e del 100 (totalità di Dio).

Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate di versi endecasillabi.

La lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad un massimo di 160; l’intera opera conta complessivamente 14.233 versi. La Divina Commedia è dunque superiore in lunghezza sia all’Eneide virgiliana (9.896 esametri), sia all’Odissea omerica (12.100 esametri) e  più breve solo dell’Iliade omerica (15.683 esametri).

Se dividiamo, quindi, il totale dei versi per 3 (i versi di una terzina) otteniamo il numero 4.744, che rappresenta il numero delle terzine dantesche (approssimativo, perché ogni canto finisce con un verso eccedente rispetto alla struttura della terzina finale…).

NON ho, ovviamente, intenzione di riportare nella mia rubrica TUTTE le terzine dantesche, ma opererò un lavoro di cernita selezionando innanzitutto quelle di significato compiuto (qualsiasi cultore di Dante sa che le sue terzine NON sono tutte brevi e autoconclusive, perché spesso il periodo prosegue nella/nelle terzina/e successiva/e) e poi quelle più significative, cioè quelle che dal mio punto di vista sono più emblematiche di un personaggio, di un’opera, di un periodo, di una vicenda. Ultimo, ma non ultimo, andrò a riportare quelle terzine che sarebbe (uso il condizionale perché non si tratta di un obbligo, ovviamente) mandare a memoria! Perché la poesia dantesca è ANCHE questo: la BELLEZZA della pura declamazione fine a se stessa!

(dati essenziali tratti dalla pagina wikipedia della Divina Commedia, liberamente sintetizzata e/o integrata)