Io sono Hotel Garibaldi

“Tutto era nelle pagine. Tutto, meno il mare”

hotel garibaldi

RAPITA: questo è l’unico termine adatto a descrivere il mio stato d’animo durante la lettura di questo recentissimo romanzo di Marco Proietti Mancini. Si tratta, infatti, di una bellissima opera letteraria, scritta con maestria, efficace nell’ambientazione ed icastica nella rappresentazione degli originalissimi personaggi.

Ma andiamo con ordine…

Già la trama ha dell’inusuale. Siamo al Garibaldi, un hotel di lusso frequentato da viaggiatori benestanti e di passaggio, ma anche da persone ricchissime che vivono lì per anni in appartamenti esclusivi. Poi c’è il sottotetto, dove vive il personale di servizio.  Lì dentro nasce Otello, figlio di una delle cameriere e di chissà quale ospite occasionale.

All’inizio non ci vengono date le coordinate spaziali, per cui noi non sappiamo dove sia ubicato quell’hotel, esattamente come non lo sa il bambino protagonista. Lo scopriamo insieme a lui (nel quarto capitolo) quando qualcuno glielo spiega (“Napoli. Questa città si chiama Napoli. Siamo in centro”). Allo stesso modo, per un bel po’ non sono ben definite le coordinate temporali di ambientazione e noi lettori non ne sentiamo assolutamente il bisogno: tutto è come sospeso in una bolla ucronica delimitata dai muri di quell’hotel. Solo con lo scorrere della trama la Storia fa letteralmente invasione nel testo e scopriamo piacevolmente che siamo nel Novecento, il famoso “secolo breve”, caratterizzato da tutte le famose vicende da libro di storia.  Che qui ci sono praticamente tutte, a partire dall’eroe dei due mondi, che non a caso dà il nome all’hotel.

In questo contesto nasce, cresce e vive Otello (il nome altisonante gli è stato dato dalla giovanissima madre, affascinata dalla figura del Moro shakespeariano), o per meglio dire Hotel. Dal sottotetto, presente ma non visto (dato che agli occhi del mondo lui non esiste), scende lentamente ai piani, esplora spazi, conosce persone, scopre la Vita. Ma è pur sempre una vita costretta, limitata, “da recluso”. Quel bellissimo palazzo pieno di marmi è la sua protezione, la sua corazza di cemento, ma anche la sua prigione. Non ne esce, non sente la necessità di scappare, non lo attira (perché ne ha paura) il mondo fuori. Solo qualcosa di impercettibile lo stimola: un indescrivibile e piacevolissimo odore che in certe giornate di vento lo raggiunge fin dentro l’hotel e che egli non si sa spiegare. Gliene chiariranno l’origine, ma anche stavolta egli non potrà comprenderlo appieno. Scendendo sempre più giù arriva nello scantinato, dove vive una persona che sarà importante nella sua vita: Angelo. Prezioso di nome e di fatto (un nomen omen?), questo inserviente tuttofare diventa la sua guida nella vita. Dopo aver scoperto che non sa ancora leggere, con pazienza e passione gli insegnerà a “leggere, scrivere e far di conto”. E da quel momento Hotel non smette più di imparare, perché “sia nel leggere storie che ad aggiustare le cose non si finisce mai di imparare, c’è sempre qualcosa in più da conoscere”. Partendo da “Ventimila leghe sotto i mari” (la scelta non è casuale…) cerca di costruirsi la sua idea del mondo, della natura, della vita. Facendo domande e ricevendo sempre risposte. Inoltre si costruisce un mestiere, preparandosi a prendere il posto del suo mentore. Ma tutto all’interno dell’albergo, mai fuori. Quelle mura continuano ad essere la sua protezione e la sua corazza di cemento. Solo una volta ha occasione di uscirne, salendo sul terrazzo insieme a Cecilia, la ragazza che conquista un posto nella sua vita “strana, incomprensibile per chiunque”, tanto simile a sua madre “da sembrarne il fantasma”. A questo punto l’Amore potrebbe essere il giusto stimolo per l’uscita all’esterno, no?

A voi scoprire la mirabolante conclusione del bellissimo romanzo di formazione di taglio assolutamente moderno e innovativo. Dietro il suo impianto, infatti, ho trovato riferimenti al “forestiere della vita” pirandelliano, un pizzico di panismo dannunziano, un richiamo lontano a “Il ritratto di Dorian Gray”, ma anche lo spunto di trama dell’immenso film di Giuseppe Tornatore “La leggenda del pianista sull’Oceano” (e quindi il monologo teatrale di Alessandro Baricco, “Novecento”, ovviamente!).

Il tutto sapientemente mescolato, condito da uno stile espressivo piano, limpido e semplice, ma anche accattivante e seducente. Per questo ho letteralmente divorato il libro! Appena aperto, avevo – come mio solito – “fatto un giro” tra le pagine e avevo scoperto con piacere nella terza di copertina una “chicca” molto piacevole: l’edizione della casa editrice Ensemble ci regala i “Segnalibri da collezione”. Armata di forbici, lo avevo ritagliato, come suggeriva l’immagine, pronta ad utilizzarlo durante la mia lettura. Che invece se ne è servita molto poco, visto che non mi ha concesso praticamente pause!

In sostanza, un libro da leggere e da godere. Per conoscere ed amare Napoli (se già la conoscete e l’amate, sarete rafforzati nel vostro sentimento), di cui Proietti Mancini, scrittore romano ma “napoletano d’adozione interiore” (come ci racconta lui stesso nei Ringraziamenti), ci racconta con tecnica quasi cinematografica non solo la storia, ma persino la topografia, gli scenari, i profumi. E anche le origini del famoso “sotterraneo”!

Non manca proprio nulla, no? Nemmeno una bellissima e intensa Postfazione scritta nientemeno che da Maurizio de Giovanni.

E allora… BUONA LETTURA!