Una casa nel cuore

casa cuore

“La vita è per i forti, io sono una debole”

Un bellissimo film del 2015 di Andrea Porporati dalla tematica molto “ad impatto”. All’inizio sembra un film ordinario, sulla vita “normale” di una famiglia borghese benestante; poi, all’improvviso, la perdita di tutto e la trasformazione della vita di una madre in un incubo quotidiano, figlia al seguito. Anna (una bravissima Cristiana Capotondi) è una giovane donna come tante. Ha una casa bella e accogliente, un marito molto protettivo che l’ha spinta a non lavorare perché si occupa di tutto lui, una adorabile e bellissima figlia di undici anni, Aurora (la giovanissima ma già bravissima Aurora Giovinazzo, nota al pubblico televisivo per aver recitato anche nella bellissima fiction “Sorelle” con Anna Valle). Ma un bel giorno suo marito scappa senza lasciare spiegazioni e il mondo di Anna va in pezzi. Scopre che la sua bella casa è sotto sfratto esecutivo, che degli strozzini cercano il marito, che tutta la sua vita era costruita su menzogne. Le resta solo la figlia: solo per lei Anna si rimbocca le maniche, cerca un lavoro, si mette in lista per un alloggio popolare. Le viene in aiuto Francesco (Simone Montedoro), l’impiegato di una Onlus che si occupa appunto di alloggi popolari: la accompagna in un barcone sul Tevere, dove si sono rifugiati con il sostegno della sua Onlus altri senzatetto come lei, formando una sorta di variegata comunità capeggiata da Augusto (un bravissimo Giorgio Colangeli), che tutti chiamano “Imperatore” e cerca di evitare che dalla miseria materiale si arrivi a quella morale. Su questo strano condominio galleggiante Anna scopre anche il bene prezioso della solidarietà; ma la figlia soffre sempre di più l’anomala situazione e tenta la fuga. Per ritrovarla Anna è costretta a rivolgersi alle forze dell’ordine, che devono prendere atto della situazione e fanno scattare la terribile macchina dei servizi sociali.

Andrea Porporati mette dunque il dito nella piaga, costringendoci a riflettere sulla preziosità di ciò che abbiamo e sulla labilità delle cose umane in generale: ciò che diamo per scontato non è poi così eterno e può abbandonarci da un giorno all’altro, “costringendoci” a diventare ciò che non avremmo mai pensato di poter essere: dei poveri a margine della società. A quel punto, la scelta è obbligata: o ci si lascia tirar giù dall’onda che ci ha travolti o si trova un motivo per provare a risalire in superficie e non affogare: nel caso di Anna, che non avrebbe mai pensato che un “problema al bancomat dalla parrucchiera” potesse prefigurare una simile tragedia esistenziale, quel motivo è la figlia, Aurora (dal nome significativo e “parlante”), che ha diritto ad una vita tranquilla ad una scuola regolare, ad amicizie normali e alla sacrosanta vita di una adolescente. Più che lei stessa, infatti, è la ragazzina ad essere shockata da quella sistemazione provvisoria, quella casa sull’acqua in cui fa freddo, ci sono i topi (come confesserà – ingenuamente- alla sua amica del cuore), c’è gente di ogni genere che entra ed esce. Per lei Anna si rimette in gioco e intraprende la triste e faticosa trafila di un disoccupato: legge annunci, segna quelli più interessanti, invia curricula, si dà una sistemata, sostiene colloqui, ascolta commenti cattivi e umilianti (del tipo: “Dal 2002, signora? È passato qualche anno…”), accetta qualsiasi occupazione, limitandosi a mala pena a chiedere: “Quanto sarebbe la paga?”.

Poi, finalmente, si sveglia all’alba, attraversa in autobus la città da un punto all’altro, lavora sino allo sfinimento, torna a casa distrutta. Distrutta ma felice e gratificata. Contenta di poter dire alla figlia: “Ho trovato un lavoro, sai?”… Perché il lavoro è il primo gradino per la riconquista della dignità e lei lo sa bene! Per questo, dopo un periodo difficile sino all’inverosimile, in cui perde tutto ma proprio tutto, scopre di essere il mito della propria figlia… Possiamo desiderare altro dalla vita?