Diario di Etty Hillesum

diario etty

Hetty Hillesum, DIARIO (1941-1943)

Accanto al Diario di Anna Frank, uno dei documenti indispensabili sulla persecuzione degli Ebrei. Donna. Amante. Ebrea. Intellettuale. Condannata a morte.
Olandese di Amsterdam. Nata nel 1914, da una famiglia di media borghesia intellettuale. Comincia a scrivere il diario a 27 anni, nel marzo del 1941, quando i tedeschi già occupano l’Olanda. Nell’agosto del 1942 viene deportata nel campo di Westerbork (di smistamento, non di sterminio)- lo stesso nel quale viene indirizzata l’intera famiglia Frank, prima di essere destinata ad altri campi- dove rimane, lavorando all’ospedale e quindi con una certa libertà di movimento, fino al settembre 1943. Poi Auschwitz, dove viene ammazzata, sembra il 30 novembre 1943.  Dal vagone piombato era riuscita a gettare una cartolina, raccolta e spedita da un contadino: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. Etty aveva lasciato il suo diario ad un amico scrittore che, anche se sembra impossibile, per trentotto anni non era riuscito a trovare un editore. Finalmente, nel 1981 esce la prima edizione olandese, accompagnata da alcune lettere di Etty da Westerbork: subito 150.000 copie e ora le traduzioni in tutto il mondo.

Il diario di Etty è talmente pieno di piccole cose vissute con grande impegno che il lettore rischia di dimenticarsi come andrà a finire. Acqua fredda o calda per lavarsi al mattino colazione; cioccolato; golfini a uncinetto; crochi, tulipani, campanule; vesciche ai piedi; l’attenzione divertita alle espressioni degli altri non la lascia neppure durante gli interrogatori della Gestapo.

Si tratta di un luogo dell’anima, pieno di riflessioni filosofiche, esistenziali, religiose. Anche Dio, perché Etty mantiene comunque (noi lettori ci chiediamo come) l’assoluta esistenza di Dio, anche nonostante l’esistenza di un Inferno in terra come poteva essere un campo di sterminio. A tal proposito leggiamo (ammirati): “Sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora”. Eppure il suo era un vivere invivibile, come afferma in questo passo: “Senza caffè e senza sigarette si può vivere (…), ma senza la natura no, la natura non la si deve poter togliere a nessuno”. Già: la natura, ciò che in primis toglieva un campo di sterminio a qualsiasi recluso. Ancor prima che la libertà.

In un altro punto leggiamo: “Le mie rose rosse e gialle si sono completamente schiuse. Mentre ero là, in quell’inferno, hanno continuato silenziosamente a fiorire. Molti mi dicono: come puoi pensare ancora ai fiori di questi tempi?”.
In un altro: “Io noto che alla mia sofferenza personale si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato per tutto ciò che riguarda questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima”.

In un altro ancora: “A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina”.

Non può non venirci  in mente Anna Frank, strappata nell’agosto del ’44 dal suo alloggio segreto ad Amsterdam e trasportata- come detto sopra- proprio a Westerbork, prima di venire ammazzata a Bergen Belsen. Stessa sensibilità, stesso altruismo, stesso ottimismo nel DNA. Eppure così diverse, non solo per fascia d’età ed origini familiari…

Entrambe, pur non sopravvivendo, hanno detto la loro “parolina” ai posteri. Alla memoria. A noi.

latineloqui69