Natale di Roma 2022

Argomento della lezione di oggi in classe, in onore della ricorrenza: spiegare perché può essere attuale la poesia di Rutilio Namaziano e quanto di bello possiamo trovare nei suoi versi, facendo un veloce collegamento con il Carmen Saeculare di Orazio, studiato lo scorso anno proprio in questi giorni… 

L’invito, ovviamente, era a leggere per intero il passo, citato solo di corsa e per punti essenziali…

“Ascoltami, o bellissima regina del mondo interamente tuo, o Roma, ascolta fra le volte stellate del cielo, ascoltami, o madre degli uomini e degli dèi, non lontano dal cielo siamo grazie ai tuoi templi: noi ti cantiamo e sempre ti canteremo, finché lo consentiranno i fati: nessuno può essere salvo e dimentico di te. Gli empi oblii possano oscurare il Sole piuttosto che la tua lode svanisca dal nostro cuore! Infatti, corrispondi eguali doni ai raggi del Sole, intorno a dove si agita Oceano; Febo, che controlla tutto, si volge a te: i destrieri che da te sorgono in te li ripone. Non ti ha frenato Libia con le torride sabbie, non ti ha respinto l’Orsa armata del suo gelo: quanto la Natura che dà vita si estese sugli assi del mondo, tanto i luoghi della tua terra furono accessibili alla virtù. Hai dato una sola patria a genti diverse: giovò agli ingiusti essere conquistati, essendo tu la signora. E mentre offri ai vinti di partecipare al tuo peculiare diritto, hai reso una città, ciò che prima era del mondo”.

Rutilio Namaziano, Inno a Roma, I, vv. 47-66
Testo in latino (per amanti della classicità):
Exaudi, regina tui pulcherrima mundi,
inter sidereos, Roma, recepta polos;
exaudi, genetrix hominum genetrixque deorum:
Non procul a caelo per tua templa sumus.
Te canimus semperque, sinent dum fata, canemus:
Sospes nemo potest immemor esse tui.
Obruerint citius scelerata oblivia solem
quam tuus e nostro corde recedat honos.
Nam solis radiis aequalia munera tendis,
qua circumfusus fluctuat Oceanus;
volitur ipse tibi, qui continet omnia, Phoebus
eque tuis ortos in tua condit equos.
Te non flammigeris Libye tardavit arenis;
non armata suo reppulit ursa gelu:
Quantum vitalis natura tetendit in axes,
tantum virtuti pervia terrae tuae.
Fecisti patriam diversis gentibus unam;
profuit iniustis te dominante capi;
dumque offers victis proprii consortia iuris,
Urbem fecisti, quod prius orbis erat.