Un posto sicuro

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“Era un privilegio lavorare qui e noi ne andavamo fieri…” 

“Un posto sicuro” è un film drammatico per la regia di Francesco Ghiaccio, che per il suo esordio ha potuto contare su tre ottimi protagonisti: Marco D’Amore, Giorgio Colangeli e Matilde Gioli.

Nel novembre 2015 è uscito anche il romanzo “Un posto sicuro” scritto a  quattro mani da Francesco Ghiaccio e Marco D’Amore, edito da Sperling & Kupfer.

D’Amore e Colangeli sono un padre e un figlio, diversi che più diversi non si può. Non si frequentano da anni, praticamente non si conoscono. Le gravi condizioni del padre li riavvicinano, anche se a piccoli passi (“Avevi ragione: non sono stato un padre, non sono stato un marito…” ). Il padre soprattutto di notte soffre le pene dell’inferno per quella malattia che gli toglie il respiro, il mesotelioma pleurico; il figlio, che finora ha passato gli anni a fare lavori precari e a bere, comincia ad informarsi sul lavoro del padre. Guarda documentari, ascolta testimonianze registrate, cerca e ritaglia articoli di giornale, ascolta il padre raccontare (“c’era uno che ci parlava tutto il giorno con una mascherina e noi lo prendevamo in giro, perché in fabbrica era così, come a scuola…”). Solo in quel momento comincia a capire quell’uomo, che fino ad allora aveva considerato un uomo anaffettivo, un egoista che aveva lasciato soli lui e la moglie… E decide di raccontare, raccontare tutto. In uno spettacolo teatrale tutto suo.

Una storia d’amore, ma anche di dolore e di morte (oltre 3.000 le vittime), che ripercorre la più importante delle denunce sociali scattate a partire dagli anni Settanta in Italia, quando alcuni degli operai impiegati nell’azienda di Casale Monferrato cominciarono ad accorgersi che sempre più colleghi venivano colpiti da cancro ai polmoni: colpa del loro lavoro in fabbrica.

-“Che spettacolo è?”

-“Voglio parlare della fabbrica. Cosa succedeva là dentro?”

-“Lascia perdere, scordatelo. È passato”

-“No, non è passato”…

E in effetti non è passato nulla, se ancora oggi tanti lavoratori continuano a morire per aver lavorato in fabbriche del genere! Se i padroni sapevano che i lavoratori andavano a morire, ma facevano finta di nulla. Se magari al processo trovano il modo per farla franca. Se ancora oggi l’amianto continua ad essere lavorato in vari Paesi come Russia, Brasile, Cina, india…

La domanda è: si può morire per aver scelto di lavorare per mantenere la propria famiglia? Direi di no. Eppure in Italia succede ed è successo anche questo. Il risultato è che ora abbiamo anche la Giornata Mondiale delle vittime dell’amianto (il 28 aprile appena passato…).

Detto questo, buona Festa del Lavoro a tutti!