Made in Italy

made in italy

“Ognuno si prende il lavoro che c’è, se vuole”

Made in Italy è un film drammatico del 2018 scritto e diretto da Luciano Ligabue, alla sua terza regia; è interpretato da Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Maria Sciarappa, Tobia De Angelis. Come i due precedenti film di Ligabue, anche questo è prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci e distribuito dalla Medusa Film. Le riprese, durate sette settimane, sono incominciate il 12 giugno 2017 a Correggio e si sono concluse il 28 luglio 2017 a Roma: si sono svolte prevalentemente nella cittadina natale di Ligabue e in centro storico a Reggio Emilia, ma alcune scene sono state girate anche in altre località, come Novellara, San Martino in Rio, Scandiano, Taneto di Gattatico, Vigevano, Occhiobello e Roma. Il film si ispira all’omonimo album, uscito nel novembre 2016 e composto da 14 brani legati fra loro (concept disc), con al centro il personaggio di Riko, definito da Ligabue un suo alter ego («una delle vite che avrei potuto fare io se non fossi diventato un cantante»), come capiamo bene dalla bellissima scena iniziale del film, tutta musicale.

Sapevo dell’esistenza del film, ma non avevo mai avuto l’occasione di vederlo.

Si tratta di un piccolo capolavoro dalla tematica sociale brutale e scottante: il lavoro e la disoccupazione in tarda età.

Protagonista l’intenso Stefano Accorsi (nel film Riko), che rappresenta benissimo la figura del lavoratore insoddisfatto della propria famiglia e della vita, finché si ritrova “ad insaccare carne di maiale per 1200 euro al mese”, ma che ad un certo punto crolla e si ritrova ad odiare la vita stessa quando l’azienda di insaccati per cui lavora lo licenzia, dall’oggi al domani. Per colpa della crisi, per colpa del percorso di qualità, per colpa della concorrenza sleale, per colpa del governo di turno. Fatto sta che si ritrova solo con se stesso. Pur avendo una moglie (la bellissima e bravissima Kasia Smutniak) che lavora in modo abbastanza stabile, sicché i soldi che lui non porta più a casa non sono un grande problema, non ce la fa. Pur avendo avuto una bella liquidazione di cui vivere nel frattempo, dato che lavora da decenni nella stessa azienda, non ce la fa. Pur avendo un figlio da continuare a guidare (il sempre più bravo Tobia De Angelis, noto al pubblico televisivo per la brillante partecipazione alla fiction “Tutto può succedere”), non ce la fa, sicché è il figlio a dover fare da padre al padre (il suo “Dài, papà, dài!” è una delle battute più struggenti del film). Non riconosce più la sua vita: la sua casa gli fa schifo, si vergogna davanti ai suoi familiari, ma soprattutto i giorni sono tutti uguali, si scambia il giorno con la notte (come gli dice una mattina su una panchina dice un suo amico nelle sue stesse tragiche e miserande condizioni), si perde prima la speranza, poi la voglia, poi il gusto della vita. Ad un certo punto (dice la moglie tra le lacrime ad un’amica che prova a sostenerla) non si lava più. Immaginate cosa vuol dire questo, vero? È un segnale tremendo, un punto di non ritorno. E la moglie lo sa. Per questo finge buonumore, prova a coinvolgerlo in qualsiasi attività fuori da quelle mura di casa, che per lui sono diventate mura di un carcere, quello che lo tengono lontano dalla vita reale, dalla vita dignitosa. Ma quando serve gli urla contro, prova a scuoterlo, lo malmena addirittura. Non serve a nulla. Come non servono a nulla gli amici, che continuano le loro vite “normali”, con la fortuna del lavoro. Lo chiamano e lo richiamano, non ottenendo mai risposta. In questi casi solo un miracolo può aiutare il disoccupato attempato, chi a cinquant’anni si trova a cercare lavoro come trent’anni prima, quando era giovane e pieno di illusioni e speranze, ricevendo sempre l’ennesimo freddo “Le faremo sapere”. E il regista Luciano Ligabue lo trova, questo benedetto miracolo, facendoci piangere di gioia e di catartica “liberazione”. Solo a quel punto la Vita può ricominciare. Solo da quel momento in poi le cose cominciano di nuovo a girare per il verso giusto. E quando questo succede, il nostro Riko trova persino un nuovo lavoro, lontano dall’Italia, a Francoforte (“fredda persino nel nome, Frankfurt”), ma un lavoro che lo fa stare in vita con soddisfazione. Con dignità.

E non dimentichiamo di citare quello che solo apparentemente può sembrare un personaggio secondario: Carnevale (il sempre più bravo Fausto Maria Sciarappa). Con la sua visione precaria della vita, con i suoi castranti problemi di salute, con i suoi alternanti e intermittenti carpe diem / “che ci faccio qui?”, con la sua tragica fine sarà, paradossalmente, il faro da cui si farà guidare Riko per risalire la china della sua vita. Per questo, nella scena finale, si rivolgerà a lui, che è stato inconsapevolmente il suo mentore. Come sanno fare solo i buoni amici, quelli veri.

Da non perdere, ma davvero!

Stefano Accorsi e Kasia Smutniak in un'importante scena del film

Stefano Accorsi e Kasia Smutniak in un’importante scena del film

E concentratevi sempre sugli OCCHI di Riko: devono diventare il VOSTRO punto di osservazione del mondo. Così diventerete lui e vivrete sulla vostra pelle le sue tragiche esperienze…

GRANDE LIGA!!!

(dati essenziali e immagine tratti da wikipedia.org)