Scolpitelo nel vostro cuore. Dal binario 21 ad Auschwitz e ritorno: un viaggio nella memoria

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La mia colpa era stata quella di essere nata”

Altra pregevole opera della preziosa Liliana Segre.

In questi giorni ho riletto questo libro, che avevo avuto occasione di leggere già qualche mese fa, ma con minore concentrazione.

Già il titolo dice tutto: la novantenne sopravvissuta all’Inferno di Auschwitz investe su un’immagine forte, quella del verbo “scolpire”, che dà l’idea della costruzione eterna, della statua, dell’incastonatura, del “monumentum aere perennius” di oraziana memoria. L’autrice, infatti, invita sempre i ragazzi che dal 1990 incontra nelle scuole a sconfessare la menzogna e a diventare “Candele della Memoria”, ovvero delle fiaccole della Storia, una luce contro l’oscurità dell’ignoranza, un faro contro l’insidia del Male.

A noi lettori chiede di fare l’azione degli scultori e di inserire le sue memorie nel nostro cuore, in modo che non ne escano più. E come potrebbero? Le sue parole sono veramente dei colpi al cuore. È impossibile restare impassibili davanti ad esse, anche perché ci costringe a pensare che la storia si ripete, purtroppo…”Racconta di se stessa in guerra come una profuga, una clandestina, una rifugiata, una schiava lavoratrice. Usa espressioni della nostra contemporaneità affinché la testimonianza del passato sia un ponte per parlare dell’oggi” (dall’introduzione, a cura di Daniela Palumbo).

Noi lettori la sentiamo mentre con la sua voce decisa e potente ci dice a gran voce quello che letteralmente scolpisce nel testo: “quello che capitò in quei primi anni della prsecuzione fascista, e che mi fece davvero male, fu l’isolamento. Fu la solitudine. La solitudine del perdente. Dovuta all’indifferenza. L’indiffererenza, sì. A volte, quasi sempre, è più grave della violenza. (…) Le SS e i repubblichini ci caricarono a calci e pugni sui camion che attraversarono le città silente, la città indifferente, la città muta, la città che accettava qualunque cosa. Ognuno aveva già abbastanza guai per preoccuparsi anche degli ebrei”. Contro quel tipo di Indifferenza Liliana si batte da sempre: il suo impegno è “contrastare il razzismo. Tramandare la memoria. Costruire un mondo di fratellanza e di pace, in piena sintonia con la nostra Costituzione”. Ci sembra poco?

E la freschezza dei suoi ricordi? Vogliamo parlarne? Ci si chiede come faccia ad averli così vivi nel suo cuore… Mette su carta le sensazioni provate durante la sua reclusione in carcere insieme al papà, le percezioni (anche fisiche) provate durante il viaggio nei carri bestiame che partivano dal “ventre” della Stazione di Milano, il ricordo del sapore di una rondella di carota offertagli da una prigioniera che le fece quel dono increddibile, enorme, inatteso (“anche adesso, quando mangio le carote, non posso fare a meno di ricordare quella donna e il suo gesto, grande, di pietà”), l’angoscia dell’incomunicabilità al rientro nella vita, quando si rese conto che le persone non volevano sentir parlare di lager e di sofferenza: c’era solo una generalizzata voglia di ricominciare, ergo di dimenticare! Ma lei non poteva ricominciare a vivere, perché era “spezzata dentro”, era devastata dall’esperienza nel Lager, si sentiva una specie di zombie.

Ma soprattutto ci colpisce l’icasticità del ricordo di quella scena che ha salvato la sua anima, lasciandola essere quella donna libera e di pace che è ancora oggi: “avrei voluto raccogliere quella pistola e sparargli. Potevo farlo. È stato un attimo, ma poi ho capito. Io non ero come lui. Non ero come il mio assassino”. No, Liliana non lo è di certo. E cerca di invitare noi a non cadere MAI in quell’errore!

Grazie, Senatrice Segre!