La guerra è finita

“Eravamo amici…”

Fiction mirabile, ma sul serio!

Cerco su Google la ercentuale di gradimento (per quel che può valere) e trovo un incredibile 94%. E come non essere d’accordo?

Si tratta di un prodotto di qualità che ci fa riflettere su come la vita riprese nel secondo dopoguerra, su come i sopravvissuti a quello scempio storico trovarono le forze di buttarsi tutto alle spalle, cercando di tornare alla realtà.  Alcuni, lottando coraggiosamente, pian piano e con molta pazienza ce la fecero. Altri erano paralizzati dall’oscenità delle esperienze vissute: crudeltà, bestialità, insensatezza. Uno per tutti: Giovannino, il tenero bambino che non parla. Ma non è nato muto, badate bene! È diventato muto. Dopo la sua esperienza nel lager. Dopo aver visto bambini come lui che andavano alle “docce’ con i nazisti, che uscivano dalla “porta verde” delle baracca riservata a loro e non vi tornavano più . Davanti a quell’orrore era impossibile rimanere sani, forti dentro, “normali”. Molto più probabile sfinirsi di stenti, morire per un sì o un no, chiudersi alla vita assurda. E poi ci sono i fortunati, quelli che per un motivo non ben chiaro (probabilmente solo caso fortuito, casualità, fortuna) sfuggono ai rastrellamenti, vivono quella tragedia da fuori, cercano di ritrovare cari mai più tornati, con una speranza segreta nel cuore: quella di trovare loro notizie, anche in maniera casuale. Davide (interpretato dal bravissimo Riondino) è uno di questi. Misantropo, scontroso, sconsolato, esacerbato con la vita e con il mondo, dedica la sua vita vuota a cercare registri che contengano le liste dei deportati. Solo per sapere. Solo per togliersi il dubbio. Perche dentro di sé già sa che non troverà mai sua moglie e il suo amato figlio con i capelli rossi, Davide. E poi ci sono i disagiati come Mattia, che ha investito tutta la sua adolescenza nell’adesione all’ideologia fascista; anche se non sapeva ciò che faceva (“avevo sedici anni, io non le capivo bene le cose, allora”), seguiva un istinto, collaborava con la milizia fascista ad azioni  che lo facevano sentire forte e sicuro, “un figo”, si direbbe oggi. Ma dopo la fine della guerra si nasconde: un po’ per paura, un po’ per vergogna. E non riesce a mettersi in pari con quell’esperienza… Fin quando non incontra Miriam. Perchè è sempre l’amore che “omnia vincit”…

E poi ci sono le coppie che si formano nella convivenza coatta dentro una scuola/fattoria/comunità, fatte di cotte, approcci, emozioni adolescenziali, ma anche i ricordi, che non se ne vanno. I ricordi di qualcosa che si è vissuto, che ha segnato per sempre. Anche nell’approccio con l’altro sesso, purtroppo.

E che dire di Giulia? Una donna che dopo anni e anni non riesce a metabolizzare il suo disagio nei confronti del padre, un uomo che con la guerra ci ha guadagnato, un uomo di cui si è sempre vergognata; una donna che cerca con il suo lavoro di fare qualcosa per cercare di “curare” in minima parte tutto il male che quelli come suo padre hanno fatto all’Italia.

Geniale la presentazione narrativa “ex-post”. Tutta l’analisi sull’orrore concentrazionario non viene presentata né come una cronaca (che di per sé sarebbe stata un altro prezioso studio scientifico sulla questione) né come un memoriale (che pur sarenne stato mirabile e rispettabile) da parte di un sopravvissuto all’Inferno. Il regista ha scelto di rivivere tutto “da dopo”, da quando quel mondo di orrore è già cronologicamente passato. Passato perché il 27 novembre 1945 è già passato. Ma non per questo trascorso o archiviato, bensì presente. Presente tanto far male, tanto da impedire la ripresa della vita “normale”, come sa bene chi – come Primi Levi- non è mai riuscito a tornare alla normalità nonostante il suo ritorno a casa…

Insomma, una rappresentazione a 360 gradi dell’atrocità della Guerra, della complessità della vita, dell’assurdità di certa politica e della pochezza dell’essere umano, che quando vuole riesce a toccare abissi di ferinità.  Sì, perché è stato l’uomo, e solo l’uomo, non un generico destino, il responsabile della morte di milioni di persone internate in campi di sterminio. Lo dice a chiare lettere la bravissima Sara e noi non possiamo che essere d’accordo con lei.

In sintesi, un prodotto imperdibile! Da vedere ASSOLUTAMENTE.