Roma città aperta

 

ROMA CITTà APERTA

ROMA CITTà APERTA

Roma città aperta è un film del 1945 diretto da Roberto Rossellini, riconosciuto come capolavoro cinematografico a livello universale. In versione restaurata dal “Progetto Rossellini” (formato dall’Istituto Luce Cinecittà, la Fondazione Cineteca di Bologna e la Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia), il film è stato proiettato in oltre 70 cinema nel mese di aprile 2014 per la Festa della Liberazione.

Cominciamo dal titolo, molto significativo dal punto di vista storico.  L’espressione “città aperta” si riferisce -infatti-  a una città ceduta, per accordo esplicito o tacito tra le parti belligeranti, alle forze nemiche senza combattimenti con lo scopo di evitarne la distruzione. Lo status viene attribuito in considerazione del particolare interesse storico o culturale della città, oppure in virtù del consistente numero di civili presenti nella popolazione. Il caso di Roma fu molto particolare, perché la città eterna fu dichiarata unilateralmente “città aperta” il 14 agosto 1943, ma solo dalle autorità italiane: i Tedeschi, di fatto, non ratificarono mai la dichiarazione, e approfittarono invece della ritornata tranquillità dopo le resistenze iniziali all’occupazione. L’occupazione tedesca di Roma città aperta, infatti, se risparmiò (da parte tedesca) il patrimonio storico e architettonico della città, fu però durissima per la popolazione, con deportazioni di militari italiani e degli Ebrei, la tristemente famosa prigione di via Tasso e l’eccidio delle Fosse Ardeatine (per citare solo alcuni eventi “capitali”).

E ora passiamo alla vicenda raccontata nella magistrale opera di Rossellini.

Essa inizia dopo l’armistizio: gli Alleati sono sbarcati in Italia e avanzano verso nord ma ancora non sono giunti nella capitale, dove la Resistenza è già attiva. Giorgio Manfredi, militante comunista e uomo di spicco della resistenza, sfugge a una retata della polizia e si rifugia presso Francesco, un tipografo antifascista, il quale, il giorno seguente, dovrebbe sposare Pina, una vedova madre d’un bambino. Don Pietro, il parroco locale, non nega mai aiuto ai perseguitati politici e fa da portavoce dei partigiani. Egli è benvoluto e rispettato da tutti, compreso Manfredi e la sua banda di piccoli sabotatori, e riesce a passare facilmente attraverso i controlli dei soldati tedeschi e delle SS senza destare sospetti. Manfredi sfugge ad un’altra retata tedesca mentre Francesco viene arrestato e, nel momento in cui viene caricato sul camion che lo porterà via, la sua Pina grida tutta la sua protesta cercando di raggiungerlo ma cade sotto il fuoco dei mitra davanti a don Pietro e al figlioletto. In seguito Manfredi viene arrestato per una delazione e subisce terribili torture; muore mentre don Pietro viene fucilato. Tuttavia Francesco e i suoi ragazzi continueranno la lotta partigiana.

Il film, che doveva intitolarsi Storie d’ieri, nasceva come documentario su don Giuseppe Morosini, sacerdote realmente vissuto a Roma e ucciso dai nazisti nel 1944.

Ben presto, anche grazie agli apporti di Federico Fellini, aggiuntosi agli altri autori in fase di sceneggiatura, il film si arricchì di storie e di personaggi e prese l’aspetto di un lungometraggio a soggetto, cosicché il finale (la fucilazione del prete), che doveva costituire il tema principale del documentario, divenne la conclusione drammatica di un racconto corale sulla vita quotidiana in una città dominata dalla paura, dalla miseria, dalla delazione e dal degrado. In questo modo il film divenne il manifesto del NEOREALISMO.

Nella storia della produzione del film un ruolo significativo fu rappresentato da Aldo Venturini: non era un uomo di cinema, ma  un commerciante di lana che nell’immediato dopoguerra romano aveva forti disponibilità economiche ed era stato subito coinvolto nel finanziamento del film da parte della società produttrice. Quando poi, dopo qualche giorno di riprese, il film si era fermato per mancanza di liquidità, fu Rossellini a convincere il commerciante, nell’aprile del 1945, a completare il film come produttore, facendogli capire che quello era l’unico modo per recuperare i soldi anticipati.

Le riprese del film iniziarono nel gennaio del ’45 e furono fatte in condizioni precarie, sia per il periodo – i Tedeschi erano da poco andati via – sia per la scarsa disponibilità del materiale tecnico, compresa la pellicola (la famosa “celluloide”). Non essendo disponibili gli studi di Cinecittà, già spogliata dalle attrezzature e ridotta a un grande rifugio per gli sfollati che non potevano essere accolti altrove, Rossellini e la troupe improvvisarono le riprese di alcuni interni nel vecchio teatro Capitani, in via degli Avignonesi 32, dietro via del Tritone.

La scena centrale del film, con la corsa e l’uccisione di Pina (Anna Magnani) dietro al camion che porta via il marito catturato dai Tedeschi, fu girata invece in via Raimondo Montecuccoli, al quartiere Prenestino-Labicano, ed è forse la sequenza più celebre del Neorealismo nonché una delle più famose della storia del cinema italiano. Da ricordare che in questa scena (ripresa naturalmente da due inquadrature) Anna Magnani cadde troppo presto rispetto a quanto era previsto, quindi si decise di sfruttare sia l’inquadratura laterale sia quella frontale, in modo che la sequenza sembrasse più lunga: magie dell’arte cinematografica!

corsa_Sora_Pina

La sequenza più famosa del film:

la corsa disperata di Pina (Anna Magnani), poco prima di essere uccisa.

Il personaggio di don Pietro riassume in sé le figure di don Giuseppe Morosini e di don Pietro Pappagallo.

Giuseppe Morosini fu un presbitero e partigiano italiano. Incarcerato e sottoposto a torture perché rivelasse i nomi dei suoi complici, non solo non parlò ma cercò anzi di addossarsi ogni colpa del movimento. Il 22 febbraio il tribunale tedesco lo condannò a morte. Nonostante le pressioni esercitate dal Vaticano, fu fucilato il 3 aprile 1944 a Forte Bravetta. Fu accompagnato innanzi al plotone di esecuzione dal vescovo Luigi Traglia, che lo aveva ordinato sacerdote sette anni prima.

Don Pietro Pappagallo fu un altro prosbitero e antifascista; il 29 gennaio 1944 fu arrestato dalle SS, dopo la delazione da parte della spia Gino Crescentini, fintosi un fuggiasco in cerca di rifugio presso il sacerdote; lo scopo era eliminare una figura di spicco del Fronte Militare Clandestino e della Resistenza romana. Alcuni testimoni hanno riferito che, anche durante il periodo della prigionia, don Pappagallo condivise il proprio pasto con altri detenuti che non avevano ricevuto cibo. Condannato a morte, fu l’unico prete cattolico a essere ucciso il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.

Il bravissimo Rossellini ha dunque “cucito” su don Pietro due vicende personali: le sue azioni e il suo arresto ricordano quelle di don Pappagallo, la sua reclusione e tortura e soprattitto la  scena della fucilazione a Forte Bravetta sono  un chiaro riferimento alla fine di don Morosini.

Il personaggio di Sora Pina, invece, è ispirato a Teresa Gullace, una donna italiana uccisa dai soldati nazisti mentre tentava di parlare al marito prigioniero dei Tedeschi.   Calabrese ma trasferitasi a Roma, Casalinga di trentasei  anni, Teresa (da nubile Talotta) aveva cinque figli ed era incinta del sesto. Suo marito, Girolamo Gullace, era stato  arrestato dai nazisti il 26 febbraio 1944 nel corso di un rastrellamento e portato nella caserma dell’81º di fanteria in Viale Giulio Cesare 54, per essere inviato nei campi di lavoro forzato in Germania. Qui, la mattina del 3 marzo, la donna era anadata a reclamare, insieme alle madri, alle mogli e alle figlie di altri prigionieri, gridando a gran voce che venissero liberati i loro cari. Dopo aver scorto il marito alla finestra, Teresa tentò di avvicinarsi a lui, forse per consegnargli del pane e formaggio, o solo per parlargli, incurante del divieto urlatole da un sottufficiale tedesco che, vedendola avvicinarsi alla caserma, le sparò un colpo, uccidendola. Per questo motivo la donna ebbe una medaglia al valore civile:

«Madre di cinque figli ed alle soglie di una nuova maternità, non esitava ad accorrere presso il marito imprigionato dai nazisti, nel nobile intento di portargli conforto e speranza. Mentre invocava con coraggiosa fermezza la liberazione del coniuge, veniva barbaramente uccisa da un soldato tedesco.»
— Roma – 3 marzo 1944

Anche in questo caso,  il bravissimo Rossellini ha trovato in Anna Magnani una efficacissima interprete del dramma di quella moglie e madre, divenuta  ben presto un simbolo della Resistenza romana.  Non a caso al suo nome è dedicata una lapide in Viale Giulio Cesare, dove fu uccisa, e nel 1981 le fu intitolato un liceo scientifico romano in Piazza dei Cavalieri del Lavoro, nel quartiere Don Bosco (l’atrio della scuola ospita anche un suo busto realizzato nel 1989 dallo scultore Ugo Attardi).

Insomma, contesto storico TRAGICO, personaggi SIMBOLICI e SIGNIFICATIVI di quel momento temporale, interpreti MAGISTRALI (per quanto spesso tratti dalla strada, come da dettami del Neorealismo imperante…) hanno contribuito alla nascita di quello che ancora oggi resta (nonostante lo stato della pellicola) un documento storico e civile di enorme valore.

Da vedere. Da rivedere. Da imparare a memoria!

latineloqui69

Dati e immagini tratti da wikipedia,l’enciclopedia libera (liberamente riveduti e corretti)

Roma città apertaultima modifica: 2018-10-17T18:15:15+02:00da latineloqui69
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.