Il bambino dimenticato

IL BAMBINO DIMENTICATO- Benedetto Fera (2016)

dimenticato

Il libro trasuda odio per la scuola sin dalle prime pagine. Il seguito della narrazione ci rivela il motivo di tanto rancore. Si tratta, infatti, della storia vera di un bambino, Benny,  che ha sofferto per tutta la sua infanzia e adolescenza a causa della sua non diagnosticata dislessia. Egli, infatti,  amava giocare all’aria aperta con i suoi animali e stare in classe per lui era una vera tortura: la sua mattinata era un seguito di difficoltà di ogni genere, brutti voti, rimproveri e castighi; ogni pomeriggio era una e propria vera lotta con i genitori per lo svolgimento dei compiti a casa. La sua sofferenza finisce- in modo del tutto casuale- quando,  dopo la laurea in psicologia ottenuta con molta fatica, comincia casualmente a lavorare con bambini dislessici. Egli riconosce nelle patologie di quei bambini se stesso da bambino, quindi si autodiagnostica la dislessia. Da quel momento la sua esistenza cambia ed egli si sente ibero. Libero perché felice. Felice di sapere. Felice di spiegarsi. Felice di sapere cosa fare.

Il bambino dimenticato ci fa riflettere sulle problematiche che hanno affrontato da sempre e ancora oggi affrontano tutti gli studenti DSA nelle nostre scuole: il compito  di noi docenti è quello di provare a capire il tipo di disagio, senza limitarci ad “etichettare”. Emblematico, in questo senso,  il termine che ricorre in tutto il libro, “stupido”,  una “stimmate” da cui il bambino cerca per tutta la vita di liberarsi, per dimostrare agli altri di avere delle difficoltà, ma di non essere limitato!  Tanti anni fa era più difficile, oggi lo è meno: uno studente DSA ha diritto per legge a “strumenti compensativi e misure dispensative”. Noi docenti (alias adulti) abbiamo il dovere di metterli a loro agio, per compensare- almeno in questo piccolo modo- le loro difficoltà. Eppure non sempre è così, vuoi perché lo studente non “viene allo scoperto”, impaurito dall’ipotesi di essere additato come “diverso”, vuoi perché le famiglie stesse non accettano la proposta di un piano didattico differenziato. Quello che dobbiamo chiederci è se sia più conveniente aiutare un ragazzo con simili “bisogni educativi speciali” o continuare a trattarlo “da pari a pari”, mortificandolo per anni con valutazioni pessime che non rendono ragione della loro persona.

Riflettiamo, gente, riflettiamo!

latineloqui69