Epicuro e il tetrafarmaco

(GR)« Tὸ φρικωδέστατον οὖν τῶν κακῶν ὁ θάνατος οὐθὲν πρὸς ἡμᾶς, ἐπειδήεπερ ὅταν μὲν ἡμεῖς ὦμεν, ὁ θάνατος oὐ πάρεστιν, ὅταν δὲ ὁ θάνατος παρῇ, τόθ’ ἡμεῖς οὐκ ἐσμέν. » (IT)« Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi. »
(Epicuro, Lettera sulla felicità (a Meneceo), 125, traduzione di Angelo Pellegrino, Stampa alternativa, Milano 1992.)

 

Epicuro ritiene che la filosofia debba diventare lo strumento, teorico e pratico, per raggiungere la felicità.

Propone quindi un «tetrafarmaco», capace di liberare l’uomo dalle sue quattro principali paure: 

  1. la paura degli dei e della vita oltre la morte, alla quale associa come soluzione quella di pensare che se gli dèi non si interessano degli uomini, non cha senso alcuno temerli;
  2. la paura della morte,  che non deve essere afatto temuta poiché quando ci siamo noi ella non c’è, quando c’è lei  noi non ci siamo;
  3. la mancanza del piacere, che invece a parere di Epicuro è facilmente raggiungibile, purchè si sappia che va ricercato in modo moderato;
  4. il dolore fisico, del quale pensa che se è acuto è momentaneo o porta alla morte, mentre se è leggero è sopportabile.

Da ricordare il fatto che nell’antichità il “tetrafarmaco” in origine indicava un vero composto medicinale realizzato con cera, sego, pece e resina: da qui la ripresa dei quattro termini costitutivi del famoso insegnamento epicureo.

 

(liberamente tratto da  AA.VV. Stoici antichi, Utet Libri, 2013 e da  https://it.wikiversity.org/wiki/Lucrezio e da www.wikipedia.org)

latineloqui69

 
😉